Viaggio mediterraneo. La contraddizione di Mazara
Guardate questo mare. Mediterraneo, mare in mezzo alle Terre, mare nostrum (non mi appartiene: è «nostro»). Il piccolo viaggio di questo blog estivo finisce su questa spiaggia che ora aspetta l’autunno. Un viaggio compiuto anni fa. Finisce nella costa dell’isola Sicilia più vicina alla Tunisia. Mazara del Vallo. Duecento chilometri di mare tra Africa ed Europa. Qui vivono, da quasi tre decenni, 3.800 tunisini, in buona parte provenienti dalla città di Mahdia. Gente che lavora nella pesca e nei campi. Molte delle loro famiglie abitano nella casbah, intrico di vicoli tortuosi, antico centro storico di una città dall’urbanistica araba. Nel quartiere di San Francesco, a certe ore, ascolterete l’omelia durante la messa nella splendida chiesa barocca, e il canto del muezzin che chiama alla preghiera. «Un unico filo arcaico», scrive l’antropologa Francesca Rizzo.
Hanno già costruito un muro in questo Mediterraneo. Filo spinato e mitragliatrici. Eppure basterebbe una sguardo a Mazara per capire, per avere coraggio. La casbah è stata abbandonata quaranta anni fa. Una terra di nessuno, luogo di spaccio e male vite. Poi, lentamente, sono arrivati i pescatori tunisini e le loro famiglie. La casbah è diventata ghetto. Con il tempo arrivano anche slavi e gente del Bangladesh. Poi, con altrettanta lentezza, hanno aperto locali, i vicoli sono stati ripuliti, abbelliti. La casbah cambia ancora: luogo per i passi dei turisti (armati di facebook e instangram). Oggi è un «crocevia di paradossi», «identità e alterità», dice ancora Francesca Rizzo. Estraneità e mescolanza.
Gli uomini di Mazara si incontrano con gli uomini della Tunisia al bar del Molo. Siedono a tavoli separati. Parlano le loro lingue. Le donne arabe stanno in casa (ma qualcuna apre bei negozi di cibo). I bambini, terza generazione, giocano in strada, danzano capoeira, si allenano in squadre di calcio. Tutto è fragile, in bilico, denso di memoria (i greci, i romani, gli arabi dell’anno 827, i normanni, i bizantini…), di separazione e di possibilità, di futuro. «Preludio del mondo che verrà». La pietra coloro avorio di Mazara ha la stessa luce di quella di Gerusalemme.
E allora guardo il mare ancora una volta. Il Mediterraneo verso l’autunno. Vado al porto, i dialetti e le lingue, a me incomprensibili, s’intrecciano. Sulle barche dei pescatori, mazaresi, tunisini, egiziani, bangladesi, faticano assieme nelle notti in mare.