31 Gennaio 2022

«Al passato grazie, al futuro sì»

A questa frase di Hammarskjöld affido il mio saluto a voi lettori. Concludo qui la mia esperienza al «Messaggero di sant’Antonio». Me ne vado più «ricco»: di relazioni, amicizie, esperienze…
«Al passato grazie, al futuro sì»

© JeSuisLAutre

Adesso che sto per smettere di farlo, mi domando perché abbia mai iniziato a scrivere. «Fare il giornalista» non è mai stato un sogno della mia vita. Né, sono convinto, ho la stoffa per farlo: non mi sento paladino della verità scritta e non mi riconosco particolari doti in tal senso. Sono certamente grato al buon Dio, a chi mi ha affidato questo servizio e a chi mi ha aiutato in vari modi a svolgerlo al meglio, per l’esperienza di questi otto anni come direttore editoriale del nostro «Messaggero di sant’Antonio». Ma devo confessare che la persistente sensazione di essere sempre fuori posto mi ha accompagnato in questo tempo. Senza, spero, che questo mi abbia impedito di cercare di dare il meglio di me e, d’altro canto, di imparare molto e di ricevere molte soddisfazioni anche personali.

Ma non è, forse, che siamo sempre e in qualsiasi momento un po’ fuori posto? Che il buon Dio sparge abbondantemente lungo la nostra strada fastidiose «pietre d’inciampo», su cui sono sicuro l’autore di questo articolo ha continuato e persiste a inciampare, che pungolino la nostra pigrizia, l’accontentarci del minimo indispensabile, il bisogno di sicurezza e stabilità? Francescanamente vorrei citare anche il non appropriarci di niente, il fidarci di lui e dei suoi progetti su di noi. Non c’è niente di male a essere uomini e donne, per carità. Ed è anche vero che Dio non ha bisogno di nulla. È una vita con Dio, però, che esige queste cose. E, quindi, tu passi una vita cercando che abbia questo senso, almeno in potenza. Appunto, passi una vita, non puoi portarla con te, non puoi trattenerla, non puoi soffermarti in nessun luogo.

Ci sono due brani, paradossali e contrapposti, che mi hanno accompagnato, o meglio interrogato, in questi anni, silenziosamente ma inquietamente (nel senso di crearmi una persistente e fastidiosa costipazione spirituale): quasi due alert, il diavoletto sulla spalla sinistra e l’angioletto su quella destra della tradizione islamica, che, a turno, mi hanno costretto a fare i conti con l’obiettivo, ambizioso, e le modalità, ben più misere, per arrivarci. Tra i quali ho cercato di stare, con sincerità e semplicità, nell’impossibile fedeltà a entrambi. Un vero ma appassionato dilemma, senza vie d’uscita, neanche di sicurezza. Li condivido ora con voi. Il primo è tratto da un romanzo. «Poco tempo fa domandai a un francescano, incontrato per caso, che cosa sarebbe stato oggi, secondo lui, Francesco. Il frate rispose senza esitazione: “Farebbe il giornalista e scriverebbe sulle miserie di tutti gli oppressi di qualsiasi parte del mondo”» (L. Rinser, Fratello fuoco, EMP, Padova 1981, p. 10). Evviva! Pane per i miei denti!

Il secondo, invece, è la riflessione personale di un grande cristiano. «Se Cristo tornasse al mondo, come è vero che io vivo, prenderebbe per bersaglio non i sommi sacerdoti, ma i giornalisti» (S. Kierkegaard, Diario, Morcelliana, Brescia 1948-1951, II, p. 153). Gulp! Non so quale fosse l’esperienza dell’autore con i giornalisti del suo tempo, ma c’è di che preoccuparsi. Allora tutto bene? Tutto facile? Tutto difficile? L’esperienza di questi anni mi ha reso più «ricco»: relazioni, cose che non sapevo fare, amicizie, esperienze. Ora il Signore mi chiede di azzerare tutto, di ricominciare a camminare fidandomi ancora di lui. La vita si è rimessa in movimento: per me, ma anche per il nostro giornale, per chi ci lavora con passione e professionalità e per il confratello che se ne occuperà d’ora in poi. E se con un’ultima frase mi toccherà pur chiudere, che sia il verso di Dag Hammarskjöld, posto come titolo, a cui affido le mie emozioni di quest’attimo.     

 

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Data di aggiornamento: 31 Gennaio 2022

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