Al traguardo, insieme
Scrivere di qualcuno, raccontare di un amico. A volte è un po’ come scrivergli direttamente. Sarà capitato anche a noi che, mentre parliamo di una persona cara, ci pare che quella persona ci stia accanto e ci sembrerà di dialogare anche con lei. Penso che sant’Antonio abbia vissuto un’esperienza di questo tipo componendo i suoi Sermoni. Facendo tesoro della sua preparazione, ha percorso in lungo e in largo la Sacra Scrittura, commentandola. Tuttavia non l’ha fatto da erudito, distaccato e asettico, bensì con la dedizione affettuosa di chi si sta rivolgendo a uno che ama. Si sente spesso, nel modo di scrivere del Santo, la passione di un cuore che si dedica a qualcuno.
Per lui, per Antonio, scrivere del Signore significava anche scrivere direttamente a lui. Nella pagina biblica egli sente il respiro di Dio. Non a caso sono numerose le preghiere che troviamo nei Sermoni. Una di queste è collocata in concomitanza con l’Epilogo, a chiudere la corposa raccolta dei testi antoniani. Non si chiede nulla, in questo caso; soltanto si ringrazia, si loda, si rende onore. Emerge però anche un aspetto interessante. Il nostro Santo riconosce profondamente di non essere l’unico autore del suo lavoro; anzi, ne attribuisce l’origine al Signore Gesù. È il «mio lavoro», così lo descrive. Ma simultaneamente lo riferisce a Colui che è principio e fine. Si sente la soddisfazione per un bel risultato raggiunto e, nello stesso tempo, vi è la confessione che, senza l’aiuto di Dio, non sarebbe mai arrivato al traguardo. Si definisce indegno, ma rende grazie per il fatto di essere stato inondato dalla pietà.
Forse le due parole chiave che ci permettono di apprezzare pienamente questo rendimento di grazie sono proprio «devozione» e «pietà». Devozione è l’impeto di riconoscenza con cui sant’Antonio si sente legato a Gesù; come quando noi siamo devoti a qualcuno perché gli vogliamo bene e siamo intimamente persuasi della sua preziosità per la nostra vita. Pietà è il dono dello Spirito che permette ad Antonio di mantenere viva l’intensità commossa e vibrante della sua ricerca. È un modo quanto mai intelligente di concludere un’opera: cogliendo di essere stati accompagnati nel cammino, con l’umiltà sorridente di chi, giunto alla meta, ringrazia per quanto ha ricevuto. Un bell’esempio di stile, quando rischiamo di gonfiarci un po’ troppo per i nostri successi: mai sentirsi fautori esclusivi dei propri traguardi, ma provare a guardarsi indietro; per vedere chi ci ha aiutato e ringraziare chi ci è rimasto vicino.
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