Progetto 13 giugno. Tempo di ricaricarsi

Una persona su quattro in Italia vive una qualche forma di povertà. Per la prima volta nella storia di Caritas sant’Antonio, i frati dedicheranno il progetto 13 giugno alle famiglie in difficoltà assistite dalle realtà francescane d’Italia.
05 Giugno 2023 | di

Roma

Sono le 7.00 del mattino. La piccola chiesa di San Giacomo su via della Lungara, a Trastevere, è impastata di silenzio e di penombra. Al fondo, un uomo magro è in ginocchio con le mani sul viso, un altro è abbandonato a capo chino su una sedia accanto alla porta. Altri entrano a passo felpato, nell’atmosfera sonnolenta, fino agli altari laterali, dove campeggiano due ciabatte elettriche zeppe dei fili dei cellulari. Quasi a simboleggiare che quello è tempo di ricarica, fisica e spirituale, dopo una notte passata all’addiaccio sotto i ponti o gli androni della Città eterna. «Stanno aspettando la colazione, siamo gli unici a Roma a offrirla», spiega fra Vittorio Trani, decano dei cappellani del vicino carcere di Regina Coeli, figura carismatica a Trastevere, conosciuto in tutta Roma per la sua dedizione ai poveri, condivisa con i sette confratelli del convento.

Dopo il covid le richieste di aiuto si sono moltiplicate, non solo ex detenuti e senza fissa dimora, zoccolo duro degli «ospiti» dei frati, ma famiglie che, pur avendo una casa, non hanno i soldi per mangiare, per vestirsi e neppure per curarsi, uomini divorziati, persone sole, preda di qualche dipendenza o forma di malattia mentale. Nel convento dei frati, scavato in parte in ciò che resta delle antiche navate laterali della chiesetta, quasi fosse una grotta in una roccia santa, il centro di accoglienza ospita ogni giorno questa strana famiglia.

Sembra di entrare in un suk per quanto è zeppo di oggetti, vestiti, scarpe, alimenti. Un «ospedale da campo», lo chiamerebbe papa Francesco, nel cuore della città. Non solo cibo e vestiti, ma visite mediche, farmaci, assistenza legale e fiscale e, soprattutto, accoglienza a 360 gradi, sotto la guida di Angela, ex infermiera, e grazie all’impegno di un nutrito gruppo di volontari della zona. Una parola, una risata, un buon caffè: c’è tutto quello che serve per ricaricare le batterie e affrontare un nuovo giorno.

Il progetto 13 giugno

Storie simili, anche se in ambiti diversi, accadono quotidianamente nei conventi e nelle parrocchie dei frati, che punteggiano tutto lo Stivale e le sue isole. Il momento è tra i più difficili degli ultimi 30 anni per il nostro Paese, anche se è duro ammetterlo. Secondo un’elaborazione dati della Fondazione Openpolis, la povertà assoluta, ovvero quella che non consente le spese minime per una vita accettabile, è passata dal 3,3 per cento del 2005, all’8,4 del 2017, al 9,4 del 2021. Quasi un italiano su 10 è in povertà assoluta. Ma la zona grigia della povertà, in realtà, affligge più di 1 italiano su 4, anche tra chi un lavoro o una casa ce l’ha, ma non riesce comunque a sbarcare il lunario. 

I più colpiti sono i bambini e i ragazzi, che rischiano di vedersi negare per sempre il futuro. «In una situazione così – afferma fra Giancarlo Zamengo, direttore generale del “Messaggero di sant’Antonio” – come frati francescani abbiamo voluto dare un segno forte di vicinanza e presenza, dedicando il progetto del 13 Giugno, Festa di sant’Antonio, alle famiglie in difficoltà seguite dai nostri confratelli in tutta Italia».

Un coordinamento tra diverse realtà, che porterà la carezza di sant’Antonio dalle periferie cittadine ai centri minori, in zone problematiche: «Le nostre parrocchie e i nostri conventi – continua fra Valerio Folli, direttore di Caritas sant’Antonio –, fanno parte integrante dei territori, spesso hanno contribuito a costruirne la storia e le reti di solidarietà, nell’ottica dello sviluppo integrale della persona. Sono punti di riferimento in questo periodo di difficoltà e disorientamento». Punti di sosta, di accoglienza, di ricarica.

Palmi

«Tutti in pullman, si parte per il mare». Prima del covid, la gioia degli adolescenti della parrocchia Maria Santissima del Rosario, a Palmi (RC), guidata dai frati francescani, sprizzava dai finestrini. Dopo, invece, ogni ragazzo sembrava accartocciato nelle spalle, immerso nel proprio cellulare. Non è mai stato facile avere 16 anni nell’entroterra calabrese, poche le prospettive; però, nel post pandemia, qualcosa si era rotto. «I ragazzi sembravano apatici, incapaci di comunicare, affossati in una sorta di rassegnazione. Abbiamo dovuto insistere perché venissero in gita e all’inizio non è stato facile» racconta Matteo, uno degli animatori.

Nell’immediato post covid questo impalpabile velo nero che avvolgeva i più giovani gravava anche sugli ultrasettantenni, per mesi ammutoliti davanti ai televisori. «Sono i genitori degli emigrati per lavoro o per studio, per i quali la chiesa è il solo punto di aggregazione. Subito dopo la pandemia avevano ripreso a venire a Messa, ma non si fermavano più sul sagrato a parlare». Il covid è passato come un lungo letargo, ma al risveglio giovani e vecchi, ciascuno a modo proprio, si sentivano più poveri e più soli. Per molti la povertà materiale era diventata una voragine. In tanti si rivolgevano alla Caritas parrocchiale e ai frati per sbarcare il lunario o pagare qualche bolletta, divenuta insostenibile. 

Non si esce dal velo nero da soli, lo sanno bene padre Giorgio Tassone, parroco e custode provinciale, e i suoi confratelli. Quella dei frati è una presenza storica per gli abitanti di Palmi, che ha valso alla parrocchia un buon numero di volontari laici, oggi cuore pulsante della comunità. Non solo Matteo – che in questo momento si sta occupando di rilevare i bisogni delle famiglie più povere per il progetto del 13 giugno – ma anche Gianluca, che coinvolge i ragazzi con la musica, e Wladimiro, che ha preso a usare il teatro per rielaborare i vissuti.

Insieme a loro almeno altri 80 volontari, chi più assiduo chi meno. Tra di essi un signore di 70 anni, il cui velo nero si è stracciato proprio cominciando a servire la comunità. Pian piano a Palmi, anche grazie all’apertura del centro Papa Giovanni Paolo II, a cui pure Caritas sant’Antonio ha contribuito, la gente del posto ha iniziato di nuovo a condividere. I problemi non sono finiti, ma almeno si sta insieme. Il fine è comune a tutti: ricostruire la comunità, ridare gusto alla vita, ricaricare gli animi per tenere lontano quel velo impalpabile che soffoca la speranza.

Bari

A Bari il convento dei frati è nella periferia della periferia, a sud-est, a cavallo tra il rione di Japigia e il nuovo agglomerato urbano di Sant’Anna, nel 1° municipio; un immenso quartiere, dove belle palazzine circondate dal verde, negozi, servizi e centro commerciale convivono con squallidi palazzoni dormitorio, costruiti negli anni ’70 e ’80, su cui regnano le famiglie mafiose. C’è un filo sottile tra la Bari proiettata verso il futuro e quella trattenuta nel clima feudale delle cosche, in un sottomondo dove tutto è controllato, con mano invisibile eppure pesantissima. La parrocchia di San Francesco ha messo radici a Japigia negli anni ’60, quando la periferia era in mezza campagna. «Era l’unico luogo di aggregazione – racconta fra Gianluca Catapano – , ha aiutato la gente a superare le difficoltà e, in alcuni casi, a mediare con l’autorità per avere alcuni servizi fondamentali, come per esempio l’allacciamento alle fognature».

C’è complicità e affetto tra i frati e la gente. La preoccupazione più grande è per i bambini e i ragazzi dei palazzoni: «Hanno tutti alle spalle vissuti dolorosi, famiglie povere, madri sole, padri in carcere, nonni che fanno da genitori. Nei rioni più degradati domina lo spaccio di droga, la prostituzione, l’usura, l’abbandono scolastico e un altissimo tasso di disoccupazione. È un attimo perderli». Per loro nel 2014 i frati hanno fondato l’Oasi francescana De Lilla, dove, insieme con un nutrito gruppo di laici, prendono in carico i ragazzi e le loro famiglie. L’edificio, a tre chilometri dalla parrocchia, è una bella villa con ampi spazi verdi in riva al mare, donata ai frati da una famiglia.

Una scelta d’amore, perché per fare intravedere l’azzurro a chi vive nel buio ci vuole la bellezza. «Arrivano arrabbiati – racconta fra Gianluca – scontrosi, cinici, i nostri ragazzi. Ormai non funziona più la favola bella che papà è fuori per lavoro. Il mondo è un brutto posto e loro non hanno futuro. Questo è quello che sentono». Qui non basta una sola ricarica, ci vuole tutta l’energia del mondo: «Li teniamo con noi cinque ore al giorno per undici mesi, li seguiamo nei compiti e in varie attività, anche lo sport è importantissimo. Si lasciano andare lentamente e ogni loro passo in avanti è per noi una gioia». Forse questo spazio d’azzurro non durerà «ma almeno ora sanno che c’è un altro modo di vivere».

L’Oasi francescana aiuta anche le famiglie: pacchi alimentari, pagamenti di bollette e parcelle mediche, affitto, farmaci. Dopo il covid è un delirio: «Le richieste lievitano di giorno in giorno, è davvero difficile star dietro a tutto. Fortunatamente ora ci sarà il vostro aiuto. Arriviamo la sera stanchissimi, con le pile scariche. Ma poi basta sapere che uno dei nostri ragazzi ce l’ha fatta e ci ritorna tutta l’energia del mondo».

Segui il progetto su www.caritasantoniana.org

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Data di aggiornamento: 06 Giugno 2023

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