Antonio e i pesci
«Pesci, udite la parola del Signore». Ricorrono in questo periodo gli ottocento anni del passaggio di frate Antonio a Rimini. Da poco scoperto come virtuoso ed efficace annunciatore del Vangelo, era stato mandato a predicare in Romagna e lì aveva incontrato l’opposizione degli abitanti del luogo, che seguivano l’eresia catara. Come ogni eresia, essa prendeva solo una parte della dottrina cristiana, assolutizzandola: l’ideale di purezza portava i catari a opporre lo spirituale al materiale e a disprezzare quanto c’è nel mondo come opera del male. Riflettendo sul nostro tempo presente, possiamo scoprire di non essere molto distanti da queste deviazioni: un sintomo di ciò è l’atteggiamento di svalutazione che a volte ci accompagna, indice di un disagio che proviamo, che viene dall’esterno (le cose non vanno come dovrebbero andare), ma anche da dentro di noi (anche se, tante volte, lo dimentichiamo).
Antonio, dinanzi a gente che non accoglie il suo messaggio e nemmeno gli dà ascolto, non risponde col disprezzo, ma si addolora. E decide di rivolgere la sua predica ai pesci. Un fatto strano, che desta stupore: anche le biografie di Francesco d’Assisi parlano di una sua predica agli uccelli… ma che senso ha parlare agli animali? Al di là degli aspetti straordinari, penso possiamo cogliere alcuni spunti di riflessione. La risposta di Antonio al rifiuto della gente non si chiude nella svalutazione, ma si apre a un apprezzamento di altre creature, diverse dall’uomo, che hanno la loro dignità, un loro posto sulla Terra: secondo una delle biografie, il Santo loda i pesci a partire da alcuni episodi biblici in cui sono presenti, dalla creazione al diluvio, dal segno di Giona alla Risurrezione di Gesù. È uno sguardo sereno che guarda alla creazione come «cosa buona» (cfr. Gen 1), che sa cogliere la bontà e il bene, orientandoli verso Colui dal quale provengono. Desta sorpresa il fatto che qualcuno viva in armonia con il mondo, sappia «parlare» con la realtà che lo circonda, e fa nascere il desiderio di condurre una vita riappacificata. Da questo stupore sono colti i riminesi, da quel momento disposti ad ascoltare le parole di Antonio, a convertire il loro cuore.
Anche oggi non possiamo nascondere le molte fatiche presenti nel nostro mondo, che spesso nascono dalla chiusura nel proprio interesse, dall’incapacità di comprenderci, dalla pretesa di imporre il nostro pezzo di verità. Come affrontare tutto ciò? Ci vuole un cambiamento di mentalità, un impegno a uscire dalla logica per cui ognuno fa legge a se stesso. In tal senso, i santi Antonio e Francesco ci suggeriscono di ripartire dalle piccole cose, cercando di riscoprire il legame che abbiamo con l’intera creazione; siccome tutto è connesso – come spesso ribadisce papa Francesco –, per iniziare un cambiamento si può partire anche dalle piccole attenzioni quotidiane, che appaiono insignificanti se paragonate ai grandi problemi dell’umanità, eppure, nella logica della complessità, sono quella goccia che scava la pietra.
Tra queste attenzioni c’è quel prendersi cura che si esprime nella stima dell’altro, nella capacità di dire parole buone sulla realtà che ci circonda: un parlare che bene-dice, desideroso di far emergere la parte migliore dell’altro. Quanto ci fa bene tutto ciò! Quanto ci solleva un apprezzamento sincero fatto da chi ci incontra! Invece, spesso, tendiamo a fossilizzarci nel rimestare mancanze e difetti, crogiolandoci nella tristezza e magari consolandoci con la svalutazione di chi ci sta intorno, illusi di poter così aumentare la propria stima. Allora, che aspettiamo? È il momento di prenderci il rischio di una parola buona! E potremo vedere
anche noi i pesci uscire dall’acqua.
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