Amati, cioè ascoltati
Molto spesso sentiamo dire che la società odierna è legata all’immagine: apparire, comparire, mostrare, sono verbi che di frequente tornano nei nostri discorsi. Il senso della vista è forse quello che consideriamo più importante: quando vogliamo capire fino in fondo una certa situazione, quando vogliamo «vederci chiaro» ricorriamo anzitutto ai nostri occhi. È la scelta più immediata e automatica che ci viene da fare: capire una cosa significa anzitutto poterla vedere (è interessante che, in inglese, il verbo to see significhi sia vedere che capire). Eppure, a volte, la vista inganna: pensiamo, ad esempio, alle illusioni ottiche e ai miraggi, che fanno sembrare le cose come non sono veramente. Oggi, poi, la tecnologia è in grado di produrre immagini false, costruite, che sembrano fotografie ma non corrispondono a un evento accaduto, pur essendo assolutamente realistiche! In molti ambiti della nostra vita noi ci affidiamo alla vista, anzi, riteniamo che sia opportuno investire su di essa: anche nell’educazione si preferisce un approccio visivo, per immagini, che uno basato su termini astratti o su parole, perché i ragazzi hanno bisogno di vedere, la visione aiuta a imparare più in fretta. C’è però il rischio di dimenticare facilmente quanto imparato, perché l’immagine non sempre mette radici, spesso è effimera. Per memorizzare qualcosa, spesso noi ripetiamo le parole, attivando l’udito: ripetiamo a voce alta, per sentire quello che diciamo. Abbiamo bisogno di recuperare la capacità di ascolto, che non è un semplice sentire, ma un’arte più esigente.
Nella Bibbia, l’udito e la vista hanno un ruolo importante, soprattutto in riferimento alla relazione con Dio. Vedere Dio non è possibile per un essere umano, che così, spesso, si sente abbandonato perché non percepisce la presenza di Dio. E allora cerca di farsi egli stesso un dio: sono gli idoli, immagini false di Dio, che non danno la vita, ma piuttosto la tolgono. L’idolo per antonomasia è il vitello d’oro del libro dell’Esodo, costruito dagli ebrei che avevano perso la speranza del ritorno di Mosè dal monte Sinai: vogliono dare una forma, un’immagine a chi li ha fatti uscire dall’Egitto e che in quel momento non si fa sentire. L’angoscia per la mancanza di Dio li fa produrre autonomamente un dio fatto con le loro mani, che si possa vedere e toccare… ma non ascoltare. Invece, l’invito che il Signore Dio fa al suo popolo è «Ascolta, Israele», come ritroviamo in una delle più importanti preghiere ebraiche: è l’ascolto il senso privilegiato nella relazione con Dio, anzitutto perché Dio comunica con noi attraverso la sua Parola. Una Parola che è creatrice, fa esistere le cose; Parola che si fa carne, che si fa uomo, Gesù di Nazareth, e si fa visibile in mezzo a noi.
Ancora, l’invito che risuona nel Vangelo è «Ascoltatelo», non «Guardatelo» o «Ammiratelo»: invito ad andare oltre le apparenze e comprendere in profondità. Anche Gesù guarda: con occhi che amano; anche Gesù ascolta, soprattutto il grido di aiuto di chi lo avvicina. Una delle esperienze più belle della nostra vita è stare nello sguardo di qualcuno: penso alla mamma che guarda il suo bimbo, all’innamorato con gli occhi pieni del suo amore… ma ci sentiamo davvero compresi, davvero amati, quando qualcuno ci ascolta profondamente, con gli occhi e con il cuore. Questo è un dono, che possiamo farci reciprocamente, aprendo spazi di condivisione nei quali ci doniamo scambievolmente vita. E allora potremo anche noi fare l’esperienza pasquale dei discepoli di Emmaus: inizialmente tristi nel volto e senza speranza, ascoltano le parole di Gesù che scaldano il cuore per poterlo infine riconoscere. Buon cammino che porta all’alba di Pasqua!
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