Il passaporto
Un’amica giornalista, una tosta, abituata agli scenari delle guerre, si lascia andare ai suoi pensieri. «Quando torno a casa e lascio la Palestina penso ai miei privilegi. Guardo i volti di chi ha lavorato con me, delle persone che ho intervistato, di quelle che mi hanno aiutato e capisco ciò che passa per la loro mente. Non hanno un passaporto, io posso andarmene, loro no». Ho pensato alle sue parole quando leggo che i bombardamenti israeliani a Gaza hanno distrutto i registri pubblici della Striscia, cancellato gli uffici delle anagrafi, i tribunali, i catasti. Tutto prima era più che precario, ora semplicemente non c’è più.
Ogni giorno, Sami al-Ajrami, giornalista palestinese, scrive da Gaza per un giornale italiano. Scrive di vita quotidiana: «Hanno cancellato la nostra identità, il passato, il presente e il nostro futuro». Non ci sono i documenti che dimostrano che sei nato, che indicano quanti anni hai, nessun studente potrà dimostrare quali esami ha sostenuto e quale è il suo titolo di studio. Non è una questione laterale nella tragedia della guerra che si combatte in Medio Oriente. Senza documenti non esisti.
Il nostro passaporto italiano (come quello francese, giapponese, tedesco, spagnolo e di Singapore) è il più «efficace», consente di viaggiare in 199 Paesi senza richiedere preventivamente un visto. Così assicura l’Indice Henley, classifica mondiale dei Paesi in base alla libertà di movimento che assicura il loro passaporto. Se sei afgano, siriano o iraqeno puoi andare in una trentina di Paesi. Squilibri.
Anni fa passai alcune settimane al confine tra Haiti e Repubblica Dominicana. Territorio di fortissima e più che decennale migrazione, per lo più clandestina, di haitiani verso la più ricca repubblica confinante. La cédula, una card di plastica, era il documento di identità ed era l’ossessione di ogni haitiano che calpestava il suolo domenicano. Sopra c’era una foto che tendeva a sbiadirsi, l’indicazione dell’età, il gruppo sanguigno, il colore della pelle e il lavoro (in genere: ninguno). Per ottenere una cèdula una delle mie guide su quel confine, privo di un atto di nascita, dovette ottenere dichiarazioni dal sindaco, dalla sua maestra di quando era bambino, dal parroco (e in più tre testimoni con più di 50 anni d’età) che confermassero che lui era nato in Dominicana. Fu necessario corrompere un funzionario.
Senza cèdula non c'eri, non potevi viaggiare su un autobus, non potevi andare a scuola, aver un lavoro legale, non avevi diritto di essere curato in ospedale. Non potevi giocare a baseball in una vera squadra. Uomini e donne, ragazzi e ragazze diventavano invisibili. Mai nati, mai cresciuti, mai invecchiati. Nella tragedia di Gaza, quando ho letto delle distruzioni dei registri pubblici, mi sono ricordato di questa storia di cui ero stato testimone in un’isola del Caribe.
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