Bellezza a colpi di spray
Roma come New York, Londra e Parigi. O come Milano, Torino, Venezia, Modena e Bologna. E ancora, paesi e borghi, dalla montagna bellunese (Cibiana) alla periferia urbana bolognese (Dozza) fino all’entroterra sardo (Orgosolo), luoghi in cui il vero museo è oggi la strada. L’arte non se ne sta più al chiuso, accessibile a pochi, ma esce fuori, nei luoghi dove la gente abita, lavora, si diverte. Dai vagoni dei treni, spesso imbrattati più che dipinti, è arrivata alle fabbriche e alle pietre. Muri di degrado mangiati dalle muffe. Muri lacerati dalle bombe nei luoghi di guerra. Muri di periferia e muri in centro storico.
Strada, luogo democratico
Racconti d’arte che puoi vedere dal finestrino dell’autobus, mentre ti muovi in bici o fai jogging. L’arte torna alla sua origine, la strada, luogo democratico per eccellenza, dove tutti possono osservarla, nella sua decadenza e, nel contempo, nella sua rinascita. Tra piazze e muri, l’arte ha il potere di mirare dritto, senza intermediari e spesso solo per un istante, alla testa, al pensiero, al cuore di chi passa. Un grande ritorno che vede fiorire iniziative e più arti on the road: dalla pittura eseguita in varie tecniche (graffiti, stencil, vernici, bombolette spray…), alla musica, dal teatro alla danza (tra tutte, break dance e hip hop), fino alla riscoperta del cibo in chioschi all’aperto.
Ricchezza per tutti
«Sin dalle origini l’arte è sempre stata arte di strada – spiega Marcello Barison, filosofo, già docente di Estetica all’Università di Ferrara e ora alla University of Chicago, volto televisivo, egli stesso artista –. Pensiamo a cosa rappresentano, in epoca medievale, interi palazzi affrescati anche all’esterno appartenenti alla nobilità o a ricchi mercanti. In India, a Mandawa e lungo la Via della Seta, le facciate delle haveli, le dimore dei commercianti ricchi, sono integralmente dipinte. L’opera d’arte viene emessa perché sia vista dal mondo. Per questo è sempre stata aperta. L’artista la produce, e poi la rilascia, perché il mondo la contempli, la usi, la veneri nel caso di un’opera religiosa. È proprio della sua natura l’essere immediatamente pubblica».
Capitale dell’arte urbana
Caotica, ricca, con tante città dentro la città, Roma è diventata, negli ultimi anni, capitale dell’arte urbana. Un grande museo, gratuito e a cielo aperto:13 su 15 i municipi interessati; ben 30 i quartieri, dai periferici, come Tor Bella Monaca e San Basilio, fino ai centrali, come Testaccio; 150 le strade dov’è possibile ammirare oltre 350 opere. Tra queste Triumphs and Laments, il ciclo realizzato da William Kentrigde sul Lungotevere. Utilizzando la tecnica cinquecentesca del graffito, l’artista ha creato i bianchi pulendo lo sporco. In pratica, anziché aggiungere colore o carboncino, il fregio è stato realizzato «per via di levare». Costruite le sagome, le ha sovrapposte al muro. Il resto, come in negativo, lo hanno fatto le pompe idrauliche: potenti getti d’acqua (gli stessi usati per ripulire dagli imbrattamenti dei writers) hanno resuscitato il bianco del travertino.
Non solo periferie
Effimeri: questa la caratteristica dei lavori di Biancoshock, tra gli street artist chiamati da tutto il mondo per far rinascere il borgo di Civitacampomarano (CB), meno di seicento abitanti. Il suo progetto, Web 0.0, vuol dimostrare che i social, in fondo, sono sempre esistiti. Il furgoncino Ape trasporta, allora, i prodotti orticoli con il logo WeTransfer, la buca delle lettere prende in prestito quello di Gmail, una vecchia cabina telefonica diventa un punto WhatsApp, la bacheca del paese è firmata Facebook, le donne «cinguettano», davanti a casa, con Twitter.
Tra i compiti della street art ridare dignità a luoghi dismessi e periferie, ma non solo. Ad Arezzo, per il festival «Icastica», artisti di fama mondiale hanno dipinto il centro storico, sdoganando quello che era considerato un sito off limits. Tra loro il francese Seth, tocco e segni inconfondibili. Come quelli impressi a Tor Marancia, periferia romana, dove ha partecipato al progetto di recupero Big City Life.
Patrimonioda far crescere
In Italia sono oltre 10 mila i musicisti, giocolieri, acrobati, clown, danzatori, mimi, madonnari, cantanti e artisti che si esibiscono tra strade, piazze. Solo a Roma e Milano, più di 3 mila performer si sono iscritti agli speciali registri comunali. Molti i giovani. Oltre duecento gli eventi e i Festival dell’arte di strada. Tra i più famosi il Mercantia di Certaldo, il Buskers Festival a Ferrara, l’Ibla Buskers Festival di Ragusa, Artisti in Piazza a Pennabilli e Mirabilia a Fossano. «Al di là delle cifre, l’arte di strada è un patrimonio che qualsiasi istituzione dovrebbe valorizzare» spiega Giuseppe Boron, presidente di Fnas, Federazione nazionale arte di strada.
Vernici e chiese
In Italia, tra le prime chiese a vedere all’opera un artista di strada, San Martino in Riparotta di Rimini.Da allora gli interventi sono stati sempre più frequenti. Come nel caso della parrocchia del Santissimo Sacramento, periferia romana, quartiere Tor de’ Schiavi, 25 mila abitanti. Da due anni alla guida c’è don Maurizio Mirilli. All’esterno della chiesa, sull’abside, don Maurizio fa dipingere la Madonna del perdono. I murales non sono un capitolo chiuso. Volutamente saranno lavori in corso d’opera, un grande cantiere a cielo aperto, brulicante di colori e vita. Il progetto si chiama Art-oratorio.
Indipendenti e liberi
Anonimi, allegri, provocatori, ma prima di tutto indipendenti e liberi. Questa l’irrinunciabile carta d’identità degli artisti di strada, qualunque muro del mondo stiano «sgraffitando», a qualsiasi latitudine. Perché, diceva Chabot de Gironville: «Sono contento della mia sorte; dichiaro che i ciarlatani, i saltimbanchi, i pagliacci, se cosi volete chiamarli, sono fra le persone più felici e libere. Vivendo con poco, disdegnano di mendicare l’applauso e l’eccessivo guadagno: se le pagliacciate non sono gradite in un paese piaceranno nel villaggio vicino. Noi dobbiamo alla nostra vita errante il nostro bene più prezioso: la libertà».
Interviste e dossier completo nel numero di settembre del «Messaggero di sant’Antonio» e nella versione digitale della rivista.