«Canne»? Tutto fuorché innocue
Proprio mentre si diffonde tra i ragazzi l’idea che il consumo di cannabis sia un comportamento accettabile e «normale», la potenza della sostanza continua a crescere e si accumulano prove scientifiche dei danni che può provocare alla salute mentale.
Gli ultimi dati della Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia parlano chiaro: più di uno studente su tre, tra quelli di età compresa tra i 15 e i 19 anni, ha utilizzato cannabis almeno una volta nella vita e uno su quattro lo ha fatto nel corso dell’ultimo anno.
Più del 16 per cento ha dichiarato di averne fumata nell’ultimo mese e il 3,4 per cento quasi tutti i giorni. Dall’indagine risulta che procurarsela non è un problema, soprattutto per i più grandi, e che la percezione del rischio è bassa, soprattutto tra i maschi. I ragazzi di oggi, figli della prima generazione che già, almeno in alcune fasce socioculturali, aveva familiarità con queste sostanze, sono cresciuti senza temerle e senza trovare in casa un atteggiamento repressivo come quello che era toccato ai loro genitori.
Quello che molti padri e madri tuttavia non sanno è che la cannabis venduta oggi non è la stessa che possono aver provato ai loro tempi. Una lunga review pubblicata sulla rivista scientifica «The Lancet» mette in guardia loro, i medici e i ragazzi stessi dal sottovalutarla.
«Negli ultimi quarant’anni sono aumentate nell’hashish e nella marijuana le concentrazioni di tetraidrocannabinolo (in sigla THC), mentre calavano quelle di cannabidiolo – spiega la dottoressa Clare Mackie, del Centro nazionale per le dipendenze all’Istituto di psichiatria del King’s College di Londra –. Tra le varie sostanze contenute nella cannabis, dette cannabinoidi, il THC è quello responsabile dell’euforia, dell’aumento di appetito, del disorientamento, ma anche degli effetti indesiderati, dipendenti dalla dose, su memoria, attenzione e scorrevolezza verbale, fino ai sintomi di paranoia.
Il cervello degli adolescenti è particolarmente vulnerabile a questi danni. Il cannabidiolo, invece, che tutt’al più ha un’azione rilassante, non è tossico, ma tende anzi a contrastare l’azione negativa del THC sulla memoria e la psicosi».
L’aumento di potenza dei derivati della cannabis nel tempo è tale che, in Italia, quelli analizzati dalle forze dell’ordine nel 2017 avevano un contenuto medio di THC più che raddoppiato rispetto solo all’anno precedente. Ciò comporta un rischio di ricevere da adulti una diagnosi di psicosi superiore rispetto a coetanei che non hanno mai fumato canne e tanto maggiore quanto più frequente ne è stato l’uso, e con sintomi tanto più gravi quanto più precocemente si è iniziato.
Parecchi gli elementi che possono portare a sottovalutare i rischi. Intanto molti confondono l’autorizzazione della cannabis a scopo terapeutico (per il trattamento degli spasmi muscolari e di nausea, vomito, carenza di appetito in pazienti gravi) con il suo uso a scopo ricreativo, che invece non è affatto stato sdoganato.
Un altro elemento che inganna è la legge 242 del 2016, che ha autorizzato la produzione e il commercio della cosiddetta cannabis light, definita tale per una quantità di THC inferiore allo 0,2 per cento (anche se di fatto la dose tollerata sale a 0,6 per cento). A questi livelli la sostanza non dovrebbe essere in grado di provocare i noti effetti psicotropi, con l’euforia e gli alti sintomi tipici di chi ha «fumato».
Per verificarli, però, occorrono apposite analisi di laboratorio, per cui è difficile anche per le forze dell’ordine verificare il rispetto di questa norma, che talvolta può essere disattesa. Nessuno può controllare che questi prodotti venduti anche nelle tabaccherie siano aggiunti a cibi o tisane, come previsto dalla legge, e non siano invece fumate a scopo ricreativo.