30 Aprile 2021

Ci incontriamo ad Assisi!

Facciamo memoria dell’incontro tra Antonio e Francesco, avvenuto nel maggio del 1221, proprio in un momento in cui incontrarsi è difficile, ma, per questo, ancor più prezioso.
Ci incontriamo ad Assisi!

© JesuislAutre

Le fonti francescane ci raccontano che, corrente l’anno 1221, san Francesco convocò ad Assisi l’annuale incontro fraterno, «che fu detto capitolo delle stuoie» (Compilazione di Assisi 18: FF 1564), come di prassi per la Pentecoste, che allora cadeva il 30 maggio. Dalle fonti, questa volta antoniane, sappiamo altresì che pure frate Antonio, futuro «di Padova», vi partecipò, dopo essersi fatto a piedi mezza Italia, risalendo su su fino all’Umbria dalla Sicilia, dove, ricordate?, si era spiaggiato nel tentativo di tornarsene dal Marocco a casa, in Portogallo.

Quest’anno, in questo mese, dunque, celebriamo esattamente gli 800 anni da allora. Il «Messaggero di sant’Antonio» che state sfogliando è proprio dedicato a questo incontro, tanto avaro di particolari quanto importantissimo probabilmente rispetto a ciò che Antonio sempre più e sempre meglio sarà. Quello che siamo soliti definire come un «incontro decisivo».

Certo che, concordo con voi, parlarne di questi tempi – tempi di incontri vietati o contingentati, protetti da mascherine o altri «dispositivi di protezione individuale», di riunioni e persino aperitivi on line –, è alquanto paradossale, se non provocatorio. Chissà… Certamente abbiamo reimparato che gli altri, chi ci sta accanto o è un po’ più in là, gli amici, i colleghi di lavoro, di studio e di sport, i familiari con cui conviviamo, tutti coloro, anonimi, che incrociamo mentre ce ne andiamo a zonzo in centro, beh, sono una cosa e il contrario di quella cosa.

Mi spiego. Il virus di turno ci ha reinsegnato che ognuno di noi non può non fare i conti, nel bene e nel male, con tutti gli altri: legami e relazioni di sangue, istituzionali, affettive, casuali. E, viceversa, tutti gli altri con noi. I nostri rapporti, cioè, hanno una doppia faccia. Da una parte, il nostro simile, chiunque esso sia, anche la persona a noi più intima, è una minaccia, un potenziale nemico, un «untore»: ci potrebbe infettare trasmettendoci il virus. Perciò dobbiamo, giustamente, stare alla larga da tutti, mantenere le distanze di sicurezza con chiunque.

Non vi è capitato, in questi mesi, di camminare per strada e accorgervi che tendiamo tutti a scansarci non appena qualcun altro viene verso di noi in senso contrario? O a guardare con sospetto chi non indossa una mascherina o sta starnutendo rumorosamente? Dall’altra, mai come in questo tempo infausto abbiamo sentito la mancanza «materiale» degli altri. Ormai non ci bastano più neanche le relazioni virtuali, abbiamo bisogno del loro corpo fisico. Abbiamo cominciato a parlare da finestra a finestra, da terrazza a terrazza, anche con quelli che fino all’altrieri ci erano dei perfetti sconosciuti, che mai avevamo neanche degnato di un saluto.

Abbiamo fatto il tifo commossi per medici e infermieri, giornalai e fruttivendoli, volontari e carabinieri. Ci siamo ricordati con apprensione di nonni e nonne rinchiusi nella casa di riposo che neanche sapevamo ci fosse in paese. Ma quando mai?! Non solo: abbiamo capito ancora meglio che, come aveva detto papa Francesco quella volta in una piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia, «nessuno si salva da solo». Il mio «star bene» dipende dallo «star bene degli altri» e viceversa. 

E così non possiamo non incontrarci, anche se le modalità della concretizzazione di tale incontro possono variare con fantasia e passione, come forse finora neanche ci avevamo mai pensato: «E ovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbano rivedersi con occhio spirituale e con amore e onorarsi a vicenda senza mormorazioni» (san Francesco, Regola non bollata 7,15: FF 26)! Ovunque… in qualunque luogo… 

 

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 30 Aprile 2021
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