Collaborare fa bene al futuro
«Gentile direttore, oggi più che mai nella società c’è bisogno di collaborazione. Vorrei vedere in circolazione meno critiche negative, dispregiative, meno insulti e polemiche che seminano nella gente paure, disgregazione e odio. Vorrei che anche nei mezzi di informazione ci fossero meno volgarità e aggressività e più obiettività. Vorrei vedere praticata quella critica vivace, intelligente, costruttiva, creativa, propositiva e rispettosa dell’altro: questo sarebbe bello perché tutto ciò è il sale della democrazia, in quanto accresce lo spirito di collaborazione, quella che aiuta concretamente a elaborare insieme progetti per risolvere i grandi e piccoli problemi della gente. (…) Insomma, dovremmo imparare tutti a essere più collaborativi: questa è la via da seguire per costruire una comunità più unita, rispettosa dell’altro, migliore e più giusta».
Francesco - Cenate Sopra (BG)
Caro Francesco, grazie della sua lunga e bella lettera che ho dovuto un po’ tagliare per limiti di spazio. Quanto scrive è pienamente condivisibile. Lei, infatti, non nega i problemi, anzi, li vede, li contestualizza e li pone in evidenza in modo molto chiaro. Ma non si ferma qui, tenta di andare oltre, cercando di ipotizzare alcune soluzioni o, per lo meno, alcune condizioni che potrebbero aiutare a individuare tali soluzioni.
Al primo posto lei mette la collaborazione: beh, con me «sfonda una porta aperta», come si suol dire. Da francescano, infatti, ho scelto di vivere e sono chiamato a impegnarmi affinché tutta la mia esistenza sia contrassegnata da uno stile di vita fraterno. Che cosa significa? Uno stile nel quale la condivisione (e quindi la collaborazione, che ne è il primo passo) sia al centro. Nella relazione con i confratelli, certo, ma non solo. Uno stile di vita all’insegna della condivisione, infatti, lo si può vivere in ogni istante, abbandonando la tentazione del «far da soli», del bastare a se stessi perseguendo a volte forme di individualismo sfrenato – per quanto mascherato – che certo non «servono» l’essere umano, pur partendo, magari, dalle migliori intenzioni. Dio stesso ci insegna che la strada maestra è proprio questa. Lui, il nostro Dio che è uno e trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, ci mostra di essere un Dio-in-relazione.
La sua lettera, quindi, caro Francesco, che forse a qualcuno potrà sembrare eccessivamente ottimista, è in realtà il frutto maturo di una serena visione della vita, di una fede viva e pienamente vissuta.
Resta solo un nodo da sciogliere, e cioè: come imparare la condivisione e la collaborazione? Beh, si imparano in famiglia, sin da piccoli, «allenandosi» tra fratelli, tra genitori e figli e poi, più avanti, tra marito e moglie. Ma anche chi non ha avuto questa possibilità può apprendere la collaborazione. Come? Cominciando con il praticare un’arte antica e rara, ma essenziale: l’arte dell’ascolto. Da qui ogni relazione si dipana e ogni collaborazione buona e positiva trae origine. Lo ha riconosciuto anche papa Francesco, nel corso dell’Angelus del 17 luglio 2016: «Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da tanti problemi (…) che manchiamo della capacità di ascolto. Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi (...): tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i vostri nonni, gli anziani? (...) Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è infatti la radice della pace». E, io aggiungerei, anche della collaborazione!