Devo credere al naufragio dell’Incredibile?
Credo di esserci cascato. Per distrazione, per meraviglia, perché volevo crederci. Perché, prima di entrarvi, non sapevo nulla della spettacolare mostra di Damien Hirst a Venezia. Sapevo, però, che andava vista.
E così, a Punta della Dogana, mi sono trovato di fronte a una scena gigantesca: Il Guerriero e l’Orso. E, nella corte di Palazzo Grassi, ho alzato gli occhi fino al cielo per perdermi in una statua di diciotto metri che cercava di uscire dai lucernari: Il demone con una coppa. E le didascalie, meticolose, mi spiegavano che la prima scultura monumentale era «legata all’arkteria greca», mentre il colosso era la copia di un piccolo bronzo che, forse, rappresenta la divinità babilonese Pazuzu. Avevo in mano perfino una guida autorevole per linguaggio e precisione. E c’era una foto della statua in fondo al mare.
Mi piaceva credere che davvero, dieci anni fa, il relitto della nave Apistos, L’Incredibile (il nome era un indizio che avrebbe dovuto mettermi in guardia), fosse riemerso dall’oceano Indiano (e qui avrei dovuto insospettirmi). La nave era carica di mille e mille tesori, la più formidabile collezione di oggetti dell’antichità. Statue, monete, monili, oro e diamanti raccolte da Cif Amotan II, liberto di Antiochia, vissuto fra le metà del I secolo e l’inizio del II secolo. Ex-schiavo diventato ricchissimo e potente.
Le statue sono evidentemente false, ma sono repliche, mi sono detto. Da qualche parte ci devono pur essere i reperti autentici. Ci sono i video e le fotografie a provare il loro ritrovamento in fondo al mare. Poi però, di colpo, ti trovi di fronte a Topolino, a Pippo, a Trasformers divorati da conchiglie e madrepore e a Kate Moss ritratta in una statua egizia… e allora? Allora torni indietro e rileggi cosa c’era scritto sull’architrave all’ingresso: Somewhere between lies and truth lies the truth. Già, dove è la verità fra la verità e le menzogne? In fondo, io spero ancora che almeno la leggenda di Amotan sia vera.
La mostra di Hirst è maestosa, esagerata, bellissima, ripetitiva fino all’ossessione. «Qualcosa di mai visto», ammettono anche i suoi critici più impietosi. Un atto di grandiosità, arroganza, bellezza. È qualcosa di verosimile. È falsa ed è vera. (Ed è gratificante, soprattutto per l’artista inglese: molti dei 189 oggetti-reperti del naufragio sono già stati venduti e la loro quotazione singola oscilla fra 300mila sterline e 4 milioni di sterline). Ma questi, mi fa notare Michele Smargiassi, grande indagatore della fotografia, sono tempi di postverità e, aggiunge allarmato: «È la cancellazione come inutile della differenza fra il vero e il falso», è come se questa mostra fosse l’incubatrice di un virus pericoloso.
Consiglio agli amici di andare a vedere la mostra di Demian Hirst. Io sono stato, se devo credere al biglietto, il visitatore numero 176770. Poi sono uscito e ho faticato a credere che Venezia fosse vera.
Treasures from the wreck of the Unbelievable a Punta della Dogana e a Palazzo Grassi è aperta fino al 3 dicembre.