Diario dal terremoto - 8. Bolognola
Cambio montagne. Sto tornando a casa. Ma vi è ancora un altro Appennino da attraversare. Un Appennino a me, fiorentino, sconosciuto. Salgo verso i confini fra Marche e Umbria, verso paesi lontani, dispersi, piccoli. Ma, in realtà, sono veri centri del mondo, microcosmi orgogliosi. È l’Italia che giornali e televisioni ignorano, l’altra Italia, l’Italia interna, ossatura invisibile del nostro Paese: appare solo a chi, per una volta, lascia le autostrade e si arrampica verso le montagne. Qui si cambia punto di vista.
Cosa so di Bolognola? Cento e quaranta abitanti, quasi tutti veri residenti. Il paese è al fondo della Valle del Fiastrone, versante settentrionale dei monti Sibillini, in provincia di Macerata, poco meno di tortuosi 30 chilometri dalla superstrada (tratto finale inaugurato lo scorso anno) di Colfiorito, uno dei pochi attraversamenti per largo dell’Italia. Tre frazioni: Da Piedi, Di Mezzo, Da Capo (ora capite perché solo salito fino a qui?). Otto allevatori, una testarda microeconomia fatta di vacche e maiali (8 allevatori, norcineria d’eccellenza) e turismo (c’è un impianto sciistico, ci sono i mesi dell’estate).
Bolognola è interessante, perché contraddice stereotipi. Perché sorprende. Il sindaco è una donna tosta: si chiama Cristina Gentili, ha 41 anni, ed è di destra (molto di destra, a quanto capisco, eletta con una lista civica, lista unica, 55 voti). È nata a Macerata, ma ha scelto di vivere al paese di sua madre. Poco più di due mesi da sindaco ed è arrivata la prima scossa del terremoto, quella del 24 agosto. Conosco anche Paola Cardarelli, 44 anni. Vicesindaco. Pensava di fare l’amministratore pubblico part-time. Lei viveva a Fano, al mare. Passava il tempo libero al paese, sua nonna era di qui, c’è la casa di famiglia, ama questa valle. Oggi dice: «Il sisma mi ha portato in montagna». Il terremoto le ha cambiato la vita a rovescio: non ha lasciato il paese, al contrario, ha messo da parte «i suoi progetti» ed è venuta a vivere qui: «Lo devo a questa terra: è delicata, fragile, ha bisogno di cure». Poi ascolto il sindaco: «Qui c’è tutto. L’acqua, l’aria, la possibilità di vivere bene».
Il 30 ottobre, seconda, violentissima scossa, la Protezione Civile ordina lo sgombero del paese. Tutto «zona rossa». Rischio valanghe. Se ne vanno in 100. Si montano 5 tende, 40 posti. Perché rimangono gli allevatori e i giovani. Rimangono gli amministratori. Trentasette persone. Oggi, mesi dopo, sono già 50 a vivere nuovamente al paese. E tutti gli altri cercano di avvicinarsi alle loro case, quasi tutti hanno lasciato gli alberghi del mare. «Da qui la gente non vuole andarsene. Voglio che i vecchi ritornino. I giovani sono già qui, sono rimasti Stefania, Ilenia, Leonardo e tutti gli altri. Si sono dati tutti da fare come matti. Fosse dipeso solo da noi, avremmo già le casette», mi guarda Cristina. Diciassette famiglie hanno case inagibili, un terzo del paese ancora sbarrato. «Ma siamo vivi, ci siamo. E allora, ricominciamo».
A Bolognola hanno battagliato per 20 metri di strada. Una strettoia, a fianco del campanile della chiesa. «Era stata chiusa, sbarrata, ma era il solo passaggio verso le case di Pintura, rimaste intatte», spiega il sindaco. E là ci sono gli impianti sciistici. Alla fine il sindaco vince il suo braccio di ferro: strada riaperta. E sapete? Da Ancona, dalla costa quest’inverno sono davvero saliti a sciare sulle montagne del terremoto. «Mai visti così in tanti – dice Paola Cardarelli –. A volte eravamo disorientati, noi nelle roulotte e loro a sciare, ma è stata un bel segnale di vita». Ha riaperto la pizzeria. Non l’albergo, sventrato dalle scosse. Due bambini vanno alle scuole del paese vicino. Gli altri (10, si fanno figli a Bolognola, c’è «ricambio generazionale») non sono ancora tornati. «Verranno per l’estate e spero che al prossimo inverno siano qui», si augura Cristina (che ha 2 figli).
Sono salito in queste montagne perché avevo sentito la storia delle «stalle». Gli animali (vacche, cavalli, maiali) erano rimasti senza ricoveri. Rischiavano di non sopravvivere all’inverno. Burocrazie e priorità negavano speranze agli allevatori di Bolognola. «Ci siamo sentiti abbandonati dallo Stato», ricorda Cristina. Nemmeno il prete si è più visto da novembre (quando dico che sono del «Messaggero» mi chiedono: «Ci puoi mandare un frate?»). Il paese, alla fine, ha deciso di testa sua. Paola, il vicensindaco, conosceva Genuino Clandestino, un movimento contadino vicino ai Centri Sociali. Una telefonata e questi strani contadini hanno messo da parte diffidenze e sospetti anti-istituzioni, hanno raccolto 1.400 euro, messo assieme un carico di legname. E sono arrivati (da Firenze, da Pisa, da Bologna, dall’Umbria) e, in dieci giorni, hanno costruito quattro ripari, quattro stalle. Oggi gli allevatori di Bolognola me le mostrano come se mi facessero vedere capolavori di arte rurale. Hanno retto al più gelido inverno degli ultimi anni. Hanno salvato gli animali. A Bolognola un sindaco di destra, ragazzi di montagna, alpini, guide ambientali, uomini e donne della Protezione Civile, volontari di Molfetta (sono arrivati anche loro e hanno raccolto 11 mila euro) e contadini dei centri sociali si sono ritrovati sotto i tendoni, hanno bevuto lo stesso vino, mangiato alla stessa mensa. Un’Italia sociale. Bella, forte, ostinata, generosa. Capace, per una volta, di scavalcare differenze, di cercare un alfabeto comune oltre i linguaggi contrapposti. «In montagna non siamo abituati a “stare assieme” – mi dice Paola –. Forse il terremoto ci ha aiutato a capire cosa possiamo fare se siamo uniti. E anche i ragazzi di Genuino Clandestino stanno interrogandosi su loro stessi, dove aver lavorato gomito a gomito con un’amministrazione comunale, per piccola che sia».