Dicembre, la virtù dell'ascolto
Dicembre è il mese della nascita che il mondo aspettava, che sovverte ogni aspettativa, che ci invita a un movimento di libertà strappandoci alla piccolezza delle nostre proiezioni. Ma si è ancora capaci di aspettare? O il lavoro del consumo non ci lascia energie, slanci, momenti di vuoto e silenzio senza i quali per l’attesa non c’è spazio?
Saturare ogni istante, tradurre ogni significato in «cose», non rende solo il mondo più povero e noi più frenetici e scontenti: si rischia di smarrire la percezione di un tempo «altro» per effetto di un’equivalenza che appiattisce. Tutto è uguale, tutto è occasione di consumo: Halloween (perché ai santi non ci crediamo e ai morti non vogliamo pensare), Natale, San Valentino... La festa è uguale agli altri giorni, solo si spende un po’ di più.
E così ogni sapore si perde.
Andrebbero rilette oggi le parole di padre Turoldo sul Natale: «Al di là del sospetto che siamo davvero su vie sbagliate, al di là di ogni mercato, sopravviva almeno la nostalgia che la vita è un dono».
Perdere il senso rivoluzionario della nascita del bambino non ci rende solo annoiati e apatici. Rischia di renderci sordi alla gioia e al dolore del mondo, ripiegati sulle nostre piccole urgenze che non ci permettono di alzare gli occhi.
Nelle corse frenetiche, nel lamento per non poter consumare abbastanza, perdiamo il senso di quel mistero che ci interpella, ci trasfigura e sempre ci salva.
Vanno bene gli auguri, i regali, i pranzi... Senza dimenticare, però, la domanda che lancia Salvatore Quasimodo: «Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino che morirà poi in croce fra due ladri?».