Fatima e la libertà di scegliere il bene
Suor Ângela de Fátima Coelho, giovane religiosa dell’Aliança de Santa Maria, è la postulatrice della causa di canonizzazione di Francesco e Giacinta, i due veggenti proclamati santi il 13 maggio da papa Francesco, nel corso del suo viaggio apostolico in Portogallo, nel centenario delle apparizioni di Fatima. Queste le sue dichiarazioni al «Messaggero di sant’Antonio» alla vigilia della grande festa.
Msa. Quali aspettative vivete per la visita di papa Francesco?
Suor Ângela. Da un lato, Francesco con la sua sola presenza renderà visibile la dinamica ecclesiale dell’universalità, aprirà a orizzonti più grandi. L’altra chiave di lettura riguarda poi proprio la figura del Papa, decisiva nell’«evento Fatima», sia per la terza parte del segreto, sia per tutta la dinamica del messaggio: egli è il «vescovo vestito di bianco», come lo chiamò suor Lucia. In questo angolo del Portogallo si prega per il Papa da cento anni, ogni giorno: hanno iniziato Giacinta, Francesco e Lucia, continuano migliaia di pellegrini. Qui alla Cova da Iria il Papa è sempre amato, ascoltato e si prega per lui. Fatima è stata di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e ora aspetta Francesco. Non conta il nome: per noi è il Santo Padre, lo amiamo.
Il «vescovo vestito di bianco» del terzo segreto è stato certo san Giovanni Paolo II, ma poi è stato Benedetto XVI nei grandi contrasti incontrati, e oggi è Francesco alle prese con la «terza guerra mondiale a pezzi» e le sofferenze di tanti martiri: è un’interpretazione condivisibile?
Penso sia proprio così. Quando Benedetto XVI diceva che la dimensione profetica di Fatima non è conclusa, intendeva dire che, certo, tutto è stato rivelato, ma non tutto è compiuto. È quanto accade – con le differenze teologiche del caso – per la Sacra Scrittura. La Parola rimane attuale, lo era quando è stata pronunciata e lo è ancora oggi. Così, fa parte della storia il camminare dietro al Papa come popolo di Dio, il camminare verso la croce, la sofferenza della Chiesa… L’attentato a Giovanni Paolo II non esaurisce tutto il significato profetico della visione. Laddove c’è un Papa che soffre, dove c’è una Chiesa che cammina attraverso le rovine della società, laddove Cristo è la meta della storia, il segreto è aperto.
È questo il cuore dell’attualità di Fatima?
Io credo siano le parole della Madonna quando dice: «Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace». Questo va al di là di quanto è stato visto. E i pastorelli l’hanno capito: è la chiamata alla responsabilità personale l’aspetto più importante. Il segreto, nella sua completezza, riguarda la sofferenza. Quella escatologica nella prima parte; la seconda parte presenta la sofferenza storica, con la guerra, la persecuzione, la fame; nella terza ecco la sofferenza della Chiesa. Ma non finisce qui. Maria mostra che questo non è inevitabile. I pastorelli capiscono che offrendo le grandi o piccole sofferenze quotidiane, con la preghiera, si può diventare partecipi della storia della salvezza. L’uomo – lo dice il cardinal Ratzinger nella sua spiegazione del terzo segreto – è chiamato e a comprendere le conseguenze delle sue scelte, e usare la libertà per assumersi la responsabilità della storia.
È attuale anche la testimonianza dei santi pastorelli: quale esempio ci offrono?
Francesco la centralità di Dio. Fin da molto presto capì che cosa fosse essenziale per la vita e che cosa secondario. La grande sfida che questo bambino lancia a noi adulti è proprio quella di trattare l’essenziale della vita come essenziale, e di mettere in secondo piano il resto. Nel quotidiano ciò non è affatto chiaro. Anzi, soffriamo molto per ciò che in realtà è poco importante, ma che noi trattiamo come se lo fosse. Penso al peso esagerato dato all’immagine, all’aspetto fisico. Sta diventando un assoluto, e invece non lo è. L’essenziale vero, e soprattutto di una vita cristiana, è il proprio rapporto con Dio. Che cosa vuole il Signore da me? Qual è la mia intimità con lui? Per Francesco era così.
E Giacinta?
Il suo specifico era la compassione per la sofferenza umana, fisica, spirituale ed escatologica. Quando erano in prigione, per sollevarla, Lucia le chiese di scegliere un’intenzione per la quale offrire quella prova: per i poveri peccatori, o per il Santo Padre, o in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria. Giacinta rispose: «Io li offro per tutte, perché tutte mi piacciono molto». Giacinta ha un cuore compassionevole: offre la sua vita come un dono perché gli altri abbiano la vita. Come disse di loro papa Giovanni Paolo II, Francesco e Giacinta sono «due fiammelle che Dio ha acceso per illuminare l’umanità nelle sue ore buie e inquiete».
Nel numero di maggio del «Messaggero di sant’Antonio» e nella versione digitale della rivista è leggibile l’articolo completo, con gli interventi di padre Romano Gambalunga, postulatore della causa di canonizzazione di suor Lucia, e di Vincenzo Sansonetti, giornalista, autore di Inchiesta su Fatima. Un mistero che dura da cento anni (Mondadori 2017).