Giovani vittime del jet-lag da pandemia
La pandemia ci toglie il sonno. Ansia e preoccupazione legati alle difficili circostanze sanitarie ed economiche sociali turbano le notti di molti adulti, ma anche i giovani non ne sono esenti. Ne avevamo parlato alla fine del lockdown della scorsa primavera, quando si trattava di fare i conti con le conseguenze di una situazione del tutto eccezionale, senza precedenti e che si riteneva non potesse ripetersi. Le restrizioni che si sono susseguite nell’anno successivo non sono più state così severe, ma l’alternarsi di aperture e chiusure, in accordo con i diversi colori assegnati alle varie regioni, non è stato meno logorante. Ci si era preparati per uno scatto da 100 metri, e ci si è trovati a correre una maratona. Ne hanno sofferto un po’ tutti, di giorno e di notte.
Un aumento della frequenza dei disturbi del sonno è stata registrata da diverse indagini condotte tra gli adulti, ma anche tra bambini e adolescenti. I dati, purtroppo, si riferiscono per lo più al periodo di chiusura totale dell’anno scorso, ma c’è ragione di credere che nel corso dell’anno le cose non siano andate migliorando. Per esempio, uno studio condotto dall’Istituto Gaslini e dall’Università di Genova ha raccolto testimonianze da tutta Italia di genitori secondo cui sette ragazzi su dieci, dai 6 ai 18 anni, hanno sofferto di disturbi comportamentali o su base psicologica dipendenti dal lockdown. Tra i fenomeni più frequenti, una sensazione di mancanza d’aria, ma anche difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni e una fatica maggiore del solito ad alzarsi la mattina per andare a scuola o, a seconda del periodo, seguire le lezioni a distanza da casa.
Ancora oggi è come se i ragazzi vivessero in una sorta di jet-lag domestico, che tende a spostare sempre più in avanti i loro orari. «La didattica a distanza ha contribuito ad alterare il ritmo sonno-veglia, accentuando un problema preesistente – spiega Stefano Vicari, professore di neuropsichiatria infantile presso l’Università Cattolica di Roma e primario all’Ospedale Bambino Gesù –. Rispetto ai coetanei degli anni Sessanta, infatti, si è stimato che i giovani di oggi, già prima della pandemia, dormissero in media due ore in meno ogni notte. In questi mesi la situazione è peggiorata: restano svegli ancora più a lungo, per scambiarsi messaggi o fare giochi elettronici, soprattutto se sanno che la mattina dopo non devono andare a scuola».
«Sappiamo da tempo quanto l’uso di questi strumenti elettronici la sera comprometta la qualità del sonno – interviene la pediatra di Taranto Annamaria Moschetti –. D’altra parte, per i ragazzi, abbandonare il riferimento primario della famiglia per entrare nel gruppo dei pari è un passaggio essenziale nel loro percorso di maturazione». Se nemmeno al pomeriggio possono uscire di casa, vedere gli amici, incontrarsi in piazza o al classico muretto, cercano di compensare questo bisogno vitale di relazione restando attaccati al cellulare. «Ma la causa principale dei disturbi del sonno è l’ansia – riprende Vicari –. Se è vero che alcuni giovani stanno vivendo la minaccia infettiva con qualche leggerezza, molti altri sono preoccupati di ammalarsi o di portare a casa il virus e infettare genitori o nonni anziani».
Tale padre tale figlio
Non è solo la paura vissuta in prima persona dai ragazzi a suscitare ansia. Secondo lo studio genovese, il livello di disagio di bambini e adolescenti andava di pari passo con il grado di malessere indotto dalla pandemia nei genitori. «All’aumentare di sintomi o comportamenti suggestivi di stress conseguenti alla condizione covid nei genitori (disturbi d’ansia, dell’umore, disturbi del sonno, consumo di farmaci ansiolitici e ipnotici), i dati hanno mostrato un aumento dei disturbi comportamentali e della sfera emotiva nei bambini e negli adolescenti, indipendentemente dalla pregressa presenza di disturbi della sfera psichica nei genitori» scrivono gli autori.
Anche in questo la pandemia ha scavato ulteriori divari nelle diseguaglianze tra le famiglie: «C’è stato in questi mesi un importante aumento del numero di famiglie in condizioni di povertà. È evidente che se i genitori hanno perso il lavoro o temono uno sfratto i figli possono respirare un’aria di maggior tensione» riprende la pediatra pugliese, molto impegnata sui temi sociali e ambientali. «Anche il contesto abitativo conta. L’impatto sul sonno può essere diverso se si deve convivere tra inevitabili tensioni in un piccolo appartamento o se si ha a disposizione una grande villa con giardino, dove i ragazzi hanno comunque possibilità di avere i loro spazi e giocare all’aria aperta, magari con i fratelli».
La forza del dialogo
Una situazione socioeconomica più favorevole può talvolta anche offrire maggior supporto alla didattica a distanza, tramite un computer personale o l’aiuto di qualcuno. L’ansia indotta da questo approccio all’insegnamento, imposto dalla pandemia, è invece trasversale ai ceti sociali. «I professori non sembrano comprendere la difficoltà di seguire le lezioni 5-6 ore dallo schermo di un computer – si lamenta Giulia, 16 anni, che frequenta un liceo linguistico a Milano –. Molti di noi non riescono a dormire anche per il carico di lavoro che ci viene assegnato, senza le abituali valvole di sfogo, che si aggiunge alla tensione delle interrogazioni e delle verifiche sotto lo sguardo sospettoso dei docenti, come se questa situazione spingesse tutti a copiare di più». La mancanza di fiducia non li aiuta.
«Il tempo del sonno è fondamentale per consolidare gli apprendimenti – spiega Vicari –. Un sonno troppo breve o disturbato ha un notevole impatto sulle competenze cognitive, e probabilmente, più in generale, sul benessere mentale degli adolescenti». In molti contesti le richieste degli insegnanti non sono calate, per cui anche il peggioramento dei risultati scolastici contribuisce a togliere il sonno a qualcuno, alimentando un circolo vizioso: aumenta l’ansia, cala la quantità e la qualità del sonno, peggiorano le prestazioni scolastiche, e via così.
Che fare, quindi? La risposta non contempla soluzioni facili, ma chiama in causa, con forza, i genitori. «Occorre riprendersi un ruolo di guida nei confronti dei figli. Superare la stanchezza, il troppo lavoro, la mancanza di tempo e ricominciare a dare orari e regole, indispensabili per una crescita sana – esorta il neuropsichiatra romano –. Per stare bene un ragazzo dovrebbe dormire più di un adulto, almeno 9 ore. Non possiamo lasciare che siano loro a scegliere. I dispositivi elettronici dovrebbero essere spenti almeno due ore prima di dormire, perché la luce blu degli schermi inibisce l’addormentamento».
Questa raccomandazione non dovrebbe però essere fonte di scontri, col rischio di turbare ulteriormente la serenità familiare. In molte case, di questi tempi, basta una piccola scintilla per far esplodere un conflitto o scatenare crisi di pianto. I ragazzi devono anche ricevere comprensione, e poter manifestare il loro disagio, la loro paura, la sensazione che molti vivono di essere deprivati di esperienze irripetibili, che si stiano rubando loro gli anni più belli. È inutile etichettare queste sensazioni come pensieri egoistici, davanti a oltre 100 mila vittime solo in Italia. I sensi di colpa non fanno bene e non aiutano a crescere.
Parlare con loro, invece, lasciarli sfogare senza giudicarli, incoraggiare tutte le attività piacevoli compatibili con la situazione, coltivare, per quanto possibile, interessi e svaghi comuni sono alcune possibilità. Ma ogni genitore può trovare, nella realtà concreta della sua famiglia e del singolo figlio, quale sia la valvola di sicurezza che può far sfiatare il malessere che toglie sonno ai ragazzi. Lavorare su se stessi, poi, è sempre importante: fin da quando sono piccoli, e via via crescendo, la serenità del padre e della madre come singoli individui è un presupposto essenziale per quella di tutta la famiglia.
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