I buchi neri di Sarajevo
Bosnia, Sarajevo. La prima cosa che non puoi fare a meno di vedere sono i buchi. Sono neri. E sono ovunque, ancora oggi.
Risale a 25 anni fa l’assedio alla città bosniaca, uno dei più lunghi della storia bellica contemporanea, iniziato nell’aprile del 1992 e conclusosi nel febbraio del 1996.
Non son bastate mani di colore o spatolate di stucco a coprire quei buchi neri. Non è bastato il tempo a cancellare ferite ancora cariche di sangue e rabbia, fuori dai muri e dentro le case.
Ma i buchi neri non sono solo questi. Bisogna, piuttosto, fare i conti con le solitudini, i drammi, gli abissi di ciascuno di fronte alla pazzia di tutte le guerre, nessuna esclusa.
A 25 anni dalla prima uscita viene ripubblicato questo libro di Božidar Stanišić, il più amato tra gli scrittori bosniaci. A dispetto del nome il volume non racconta la guerra, ma i pensieri, i fantasmi, i ricordi prima dell’assedio e la follia che ne scaturì dopo, anche a distanza di anni.
Sono racconti quelli di Stanišić (bosniaco di cultura serba sposato a una bosniaca di famiglia croata) che parlano di uomini e donne dalle vite strappate, divise, annientate. Come è accaduto anche all’autore, fino al 1992 un insegnante, poi costretto a fuggire dalla sua terra perché non voleva indossare alcuna divisa.
È un dolore cupo quello che si annida fin nelle viscere dei protagonisti: non saranno più gli stessi, dopo. Nemmeno quando i colpi di mortaio e le sventagliate dei mitragliatori sono ormai un ricordo, si riuscirà a restituire un senso persino alla parola mir, pace. Nemmeno a guerra conclusa.
Scrive nella prefazione lo scrittore e giornalista Paolo Rumiz che ben conosce quei luoghi e questa storia: « Rileggo quel testo di allora e rifletto che se oggi viviamo con questa polveriera ancora attiva a cento e passa chilometri da Trieste, è perché ce la siamo voluta. Ce la siamo voluta come europei, perché non abbiamo compreso che lì abitava un Islam moderato, laico e aperto alle donne che ci avrebbe protetto da fondamentalismi...Sarajevo era Europa. A guerra finita era diventata lo specchio nel quale per la prima volta l’Europa si era potuta guardare allo specchio scoprendosi cinica e piena di rughe».