I nativi della Sierra Madre

Non esiste solo il dramma del covid 19. Milioni di persone nel mondo lottano quotidianamente per sopravvivere. Come gli indigeni della Sierra Tarahumara, in Messico, falcidiati dalla tubercolosi, dai cartelli del narcotraffico e dalle carestie.
23 Novembre 2021 | di

Nella Sierra Madre Occidentale messicana c’è un periodo dell’anno che è davvero speciale e che viene festeggiato da tutti i nativi indigeni che popolano la zona. È la Semana Mayor (Settimana Santa), un periodo che tradizionalmente inaugura un nuovo ciclo dell’esistenza. In quei giorni, balli, suoni e offerte propiziatorie si susseguono nei villaggi, protraendosi per un mese intero, in una festa che è frutto di contaminazioni tra cultura preispanica ed evangelizzazione cristiana. Un rituale lungo trenta giorni, insomma, che celebra la vita che rinasce.

Quando, lo scorso anno, anche in Messico le autorità hanno diffuso l’ordine che vietava ogni incontro tra non conviventi per circoscrivere la diffusione del covid 19, da poco affacciatosi anche nel Paese del Centro America, si era proprio alla vigilia di questa grande festa. Il tam tam che in breve tempo ha raggiunto pure gli indigeni che abitano le zone più sperdute della Sierra – grazie ai mezzi messi a disposizione dalle municipalità e dalla Chiesa locale – non ha però preoccupato più di tanto le comunità della Sierra Tarahumara: rarámuri o tarahumaras, ódami o tepehuanes, pimas e guarijiíos. Loro temevano di più la tubercolosi – che nella regione non è stata debellata –: solo nel primo semestre del 2020 ne sono stati segnalati 234 casi in appena tre dei comuni della Sierra. Un’epidemia ben più pericolosa, secondo gli indigeni, di quella portata dal nuovo virus.

Anche la violenza dei cartelli del narcotraffico, in particolare Sinaloa e Juárez, che da dieci anni imperversano nella zona, li preoccupava più del covid, perché le minacce dei gruppi criminali da tempo minano la possibilità dei festeggiamenti rituali che già da anni, per tale motivo, sono diminuiti in diversi luoghi.Il covid spaventava queste popolazioni solo per un motivo: a causa della pandemia, non potevano celebrare i loro rituali (lo yúmare, cerimonia a carattere propiziatorio per ringraziare per i benefici ricevuti durante l’anno e per chiedere un buon raccolto per l’anno successivo), e a questa mancanza hanno attribuito poi la peggiore siccità che si è abbattuta sulla zona da trent’anni a questa parte. Onorúame (il Creatore) non aveva ricevuto la consueta danza propiziatrice, e si è «vendicato» facendo mancare la pioggia. E li ha anche indeboliti, perché i nativi hanno imparato dagli antenati che solo se si riuniscono tutti insieme periodicamente mantengono la loro forza.

I nativi della Sierra Madre da sempre vivono isolati e dispersi in mezzo alle montagne. I «vicini» abitano anche a cinque chilometri di distanza gli uni dagli altri; non hanno l’abitudine di baciarsi e abbracciarsi quando si incontrano. Tutto ciò ha reso incomprensibile la raccomandazione di mantenere le distanze ricevuta dal governo e, al contempo, ha preservato dalla pandemia questi 130 mila nativi dello Stato di Chihuahua, così come in precedenza li aveva preservati dai danni della globalizzazione, che qui pare non esser mai arrivata.

L’isolamento naturale e lo stile di vita basato sull’autosostentamento agricolo ha protetto finora queste popolazioni anche dalle ripetute crisi economiche che si sono abbattute in anni recenti in quasi tutto il Pianeta. Purtroppo, però, un nemico pericoloso li sta ora colpendo, mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza: è il cambiamento climatico che, portando in questi luoghi ripetuti periodi di siccità, li sta costringendo ad abbandonare quella che da secoli è la loro Terra madre, ormai secca, resa infertile, dove il granturco (la coltivazione principale in questa zona) non attecchisce quasi più e le pannocchie restano a terra, piccole e rinsecchite, inutilizzabili.

L'incontro

È la mattina del 18 dicembre 2020, fa freddo. Eppure a Sahuérare, uno dei villaggi rarámuri della regione di Choréachi (che ha un’estensione di 32 mila ettari in cui sono sparsi 53 villaggi di poche famiglie, a un’altezza che oscilla tra i 2.200 e i 3.300 metri sopra il livello del mare, tra valli e burroni), gli uomini e le donne hanno deciso di riunirsi, nonostante il rischio covid. La terra è sempre più secca, il 2021 si preannuncia come un anno ancora più difficile del precedente. Al centro è seduto Ramiro Cruz Ramos, el doctor, come viene chiamato il più anziano della comunità. Ramiro anni fa ha perso la vista e si è formato come medico tradizionale: ora è un owirúame. Si rivolge alla sua gente, circa 25 persone, nella loro lingua, e tutti assieme chiedono perdono a Onorúame per non averlo onorato nel corso dell’anno che si sta concludendo e presentano le offerte perché abbia pietà di loro e mandi pioggia e neve in quello successivo.

Tutti ballano, cantano e, riuniti attorno a una croce di legno, offrono al loro Dio il tesgüino (una bevanda energetica di mais fermentato che si usa nei riti e nelle feste e durante le lunghe maratone in cui la gente di queste terre eccelle), tortillas di farina e pinole. È importante fare tutto questo insieme: per i rarámuri, la migliore medicina è la spiritualità e la cura deve essere somministrata in modo comunitario. El doctor Ramiro spiega ai suoi che la pandemia è arrivata nella regione come punizione per le troppe morti violente.

Dal 2011, infatti, la municipalità di Guadalupe y Calvo, cui il villaggio appartiene, registra uno dei tassi di omicidi più alti del Paese: tra il 2011 e il 2017 una media di 104 omicidi l’anno ogni 100 mila abitanti, con un picco nel 2016, quando i morti sono stati 253 (dati Secretariado Ejecutivo del Sistema Nacional de Seguridad Pública). Con i suoi cinque casi, Choréachi ha il triste primato di regione con più omicidi: tutti gli assassinati erano attivisti che difendevano il territorio. Se poi si calcolano anche i casi avvenuti nella vicina comunità di Coloradas de la Virgen, si registrano 18 assassini in 30 anni (e 6 solo dal 2016). Per tale motivo, oggi a Choréachi vigono misure cautelari comunitarie, imposte allo Stato messicano dalla Corte interamericana dei Diritti umani.

Gli omicidi, però, non sono la principale causa di morte delle comunità rarámuri. Per anni, infatti, Guadalupe y Calvo ha occupato i primi posti per mortalità materna e infantile, soprattutto a causa della malnutrizione. Daniel Trejo Ruiz, nutrizionista del ministero della Salute, spiega che ci sono due tipi di malnutrizione: kwashiorkor e marasmo. A Choréachi, il più comune è lo kwashiorkor, che si presenta come un’infiammazione del ventre e di altre parti del corpo causata dallo squilibrio di liquidi e dalla carenza di proteine. Trejo Ruiz specifica che le abitudini alimentari nella maggior parte della Sierra Tarahumara hanno cominciato a cambiare a partire da 15 anni a questa parte, con l’arrivo delle multinazionali che hanno introdotto il cibo e le bevande spazzatura.

Di conseguenza c’è stata anche un’impennata dei casi di diabete e ipertensione. Per contrastare il fenomeno, il governo di Chihuahua ha avviato il programma Chihuahua Crece Contigo (letteralmente: «Chihuahua cresce con te», un progetto pilota che ha l’obiettivo di identificare i casi di malnutrizione o denutrizione in bambine e bambini minori di 5 anni e di controllare la salute delle donne incinte) che coinvolgeva fino allo scorso anno quattro località della Sierra Tarahumara; a partire dal 2021, i fondi sono stati ridotti e attualmente solo Choréachi usufruisce ancora del programma.

Secondo Isela González Díaz, direttrice dell’associazione civile Alianza Sierra Madre (organizzazione che fornisce consulenza legale davanti al governo ai popoli indigeni della Sierra Tarahumara) a incidere sulla scelta di proseguire il programma a Choréachi sarebbero le misure della Corte interamericana dei Diritti umani: «È vero che esse non hanno niente a che vedere con i programmi di sviluppo sociale – dice –, ma di certo hanno avuto una qualche influenza anche in questo ambito». Il programma Chihuahua Crece Contigo, avviato nel 2019, prevede la presenza nella zona di alcuni «promotori» di salute (a Choréachi sono cinque), scelti dalle stesse comunità per rafforzare in tal modo la fiducia nel progetto.

Tali promotori sono stati adeguatamente formati per monitorare i sintomi della malnutrizione nei bambini e nelle donne in gravidanza, registrando anomalie come gonfiore in alcune parti del corpo, edemi o lividi, mancanza di appetito, macchie sulla pelle, mal di testa e irritabilità. Quando rilevano qualche caso, i promotori avvisano i responsabili regionali del progetto, tramite i telefoni cellulari basici ricevuti in dotazione e per far funzionare i quali (visto che a Choréachi non c’è copertura telefonica né collegamento internet) spesso devono arrampicarsi in alto in alcune zone della montagna per «prendere» la linea. Ma, al di là delle comunicazioni, il vero problema con cui i promotori si scontrano è la burocrazia dell’ospedale o delle cosiddette «brigate sanitarie».

Prudencio Ramos, il primo promotore indigeno assunto a Choréachi, tempo fa, per esempio, aveva segnalato il caso di 25 bambine e bambini con sintomi di malnutrizione che richiedevano assistenza sanitaria immediata, ma ha intasato così l’ospedale di Guadalupe y Calvo. Il numero di minori morti per malnutrizione sta risalendo in questo secondo semestre del 2021: solo tra giugno e settembre, nell’ospedale di Guadalupe y Calvo sono stati registrati cinque decessi di bambini e bambine dei villaggi di Sitánachi, Batayechi e Puáripa, tutti della comunità di Choréachi.

E non v’è nemmeno certezza che il programma Chihuahua Crece Contigo possa proseguire: lo scorso mese di giugno le elezioni statali hanno portato al cambio di governo e parlamento. Bisognerà vedere se i neoeletti avranno la volontà di continuare a portare avanti il progetto. Eppure, dopo che il 18 dicembre 2020 i rarámuri sono tornati a celebrare insieme il loro rituale, c’è stata una grande nevicata a Chihuahua. E poi le piogge sono state abbondanti per tutto il 2021. Sì, nonostante tutto, questo è un anno ricco di speranza... (traduzione di Monica Johé)

 

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Data di aggiornamento: 01 Dicembre 2021
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