Messico-States: la guerra del confine
Una preghiera, poi un’altra ancora. Poi la recita del rosario. Tutto per implorare misericordia a Dio e, perché no, anche all’uomo. Per fare in modo che la sorte dei migranti centro-americani in arrivo negli USA possa corrispondere a una storia a lieto fine. Settanta persone sdraiate a terra nel Russell Senate Office Building, all’interno del Senato statunitense a Washington, la scorsa estate. Tra loro, la stragrande maggioranza sono suore, frati e sacerdoti. E anche per loro, nonostante l’evidente pacifica dimostrazione, c’è stato l’arresto. A nulla è servito pregare. A nulla è valso cercare di smuovere le coscienze delle persone, dei potenti, del presidente Donald Trump in primis. Per loro non c’è stata misericordia: sono stati trascinati in cella come delinquenti comuni.
Misericordia non c’è stata, e probabilmente non ci sarà, neppure per gli immigrati centro-americani che percorrono migliaia di chilometri a piedi verso il confine che separa il Messico dagli USA. Ormai è una vera e propria battaglia. Da un lato donne, uomini e tanti, ma tanti, minorenni, che si lasciano alle spalle miseria, violenza, fame e il buio di un’esistenza senza perché, e dall’altro i potenti, i governanti USA su tutti, che non li vogliono all’interno dei loro confini, come se fossero un’epidemia pericolosa. A farla da padrone ci sono i centri di detenzione per minori, luoghi infernali dislocati sia in Messico sia negli States, dove i bambini sono separati dalla famiglia senza un motivo valido, in attesa di non si sa che cosa.
I numeri, intanto, restano lì impietosi, a raccontare di un problema che la potente America sa risolvere solo con la forza e le minacce. E i morti sono in aumento, sia al confine (come dimenticare Oscar Alberto Martinez Ramirez morto con sua figlia Valeria, di 2 anni, nel tentativo di guadare un fiume?) sia nei centri per minori. Una tragedia mondiale. Come quella del Mediterraneo. Come quella di altri luoghi dove chi scappa da guerra e miseria non è solo un ultimo degli ultimi, ma è sempre dimenticato e lasciato solo.
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