Il grazie che dà forma
«L’umiltà deve nascere prima di tutte le altre virtù, perché essa è “la forma che riforma le cose deformate”. Da essa infatti viene il principio motore di tutte le buone opere, e ha un grande influsso sulle altre virtù, perché di tutte è la madre e la radice» (Sant’Antonio, Sermoni, Domenica III dopo Pasqua, 13).
Forse l’umiltà non è nemmeno una virtù. Se per virtù intendiamo una qualità positiva attuata con il nostro comportamento, un atteggiamento buono che siamo in grado di concretizzare grazie al nostro impegno, a uno sforzo, allora sì: si potrebbe dire che l’umiltà non è una virtù. È piuttosto un modo di stare nella vita. Per questa ragione sant’Antonio chiarisce che essa deve «nascere prima». Il nostro Santo sembra giocare con le parole, richiamando un detto a lui conosciuto: «Una forma che riforma ciò che è deformato».
Sperimentiamo tutti, nella nostra normale quotidianità, che tante volte ci sentiamo alquanto confusi, con idee poco chiare, con desideri che vanno e vengono, con sentimenti ballerini. Spesso ci sentiamo, appunto, senza forma chiara. E c’è bisogno che una sorta di modello restituisca configurazione, per quanto possibile, a ciò che noi siamo. Avvertiamo, cioè, la necessità di essere «ri-formati», rimessi in forma. Lo diciamo, ad esempio, dopo un tempo di malattia, o dopo una vacanza: «Sono tornato in forma; mi sono rimesso in forma». Persone «riformate». La deformazione ritrova compattezza e viene superata grazie a un modello: per il nostro Santo, tale modello è l’umiltà. Che cosa significa essere umili? Se si trattasse di una virtù da esercitare, subito ci inventeremmo atteggiamenti artefatti da persone sottomesse, oppure cadremmo nel rischio di guardare a noi stessi svalutandoci.
Talvolta si crede addirittura che l’umiltà sia l’attitudine di chi si tira sempre fuori dai giochi, dalle sfide della vita, credendosi inadeguato. Sappiamo come atteggiamenti così, in realtà, esprimano di frequente l’indole di persone eccessivamente timorose, o che non intendono prendersi responsabilità, che non hanno voglia di assumere con coraggio i compiti che la vita ci domanda di accogliere. Umili non sono coloro che non fanno, per paura o pigrizia; bensì coloro che fanno. Fanno cosa? Le buone opere, dice Antonio. Potremmo guardare a Gesù, che definisce se stesso come «mite e umile di cuore». Potremmo riascoltare Maria, nel canto del Magnificat, che loda Dio per aver «guardato all’umiltà della sua serva».
Umile era Gesù. Umile era Maria. In loro non vi era necessità di «riforma». Erano già «formati», fatti belli nell’umiltà. Modelli di umiltà. E qual era il loro modo di stare nella vita, in quanto umili? Era lo stile di chi vive sentendosi in relazione con qualcuno, qualcuno da cui si riceve tanto e a cui si vuol restituire. Gesù riceve tutto dal Padre e a lui tutto vuole restituire. Maria riceve tutto dal Signore e a lui tutto vuol restituire. Ecco la «forma che riforma», ecco l’umiltà: essere consapevoli che tutto riceviamo e, simultaneamente, vivere nel desiderio di restituire. A Dio, nei nostri fratelli e sorelle. Le «opere buone» sono dunque soprattutto questo: un gioioso stare dinanzi al Signore riconoscendo i suoi doni; ringraziandolo, come ha saputo fare splendidamente, tra gli altri, san Francesco d’Assisi: «Laudato si’, per…». Un grazie che ci rimette in forma.
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