Il limite della normalità
Bisogna ringraziare l’esistenza delle paraolimpiadi perché senza questa vetrina internazionale, molti non sarebbero mai venuti a conoscenza della bellissima storia di Alex Zanardi, pilota di Formula 1 menomato alle gambe da un grave incidente, e poi tornato campione da medaglia d’oro nel ciclismo manuale. La sua determinazione e la voglia di vivere al massimo delle proprie possibilità hanno commosso il mondo e portato molti a riflettere sul fatto che la disabilità non è una condizione fisica, ma un punto di vista: «Quando mi sono svegliato dopo l’incidente e mi sono guardato le gambe – ha affermato il campione in un’intervista memorabile – non ho pensato alla metà che mancava, ma a quella che era rimasta».
È una lezione per ciascuno di noi, e non importa in quale categoria dell’abilità ci inseriamo perché siamo tutti chiamati costantemente a scegliere se vederci risorsa o scarto, sconfitti o rinati, finiti o appena da cominciare. Eppure, per le famiglie delle migliaia di disabili non campioni del mondo che affrontano le difficoltà del quotidiano, la storia di Zanardi suona troppo straordinaria per essere vera, troppo lontana dal loro vissuto per diventare un esempio.
I loro figli quando hanno avuto gli incidenti o quando sono nati con le menomazioni non avevano le risorse economiche di un pilota di Formula 1 per rifarsi un futuro. Non avevano i medici, gli sponsor, gli allenatori e la rete di conoscenze che ha consentito ad Alex di tornare a immaginarsi campione e poi ridiventarlo. Che cosa succede quando una disabilità così menomante accade in una famiglia comune, senza titoli iridati sulle pareti e senza particolari risorse per affrontarla che non siano quelle, sempre limitate, che ti mette a disposizione lo Stato?
Il miracolo della rinascita e della vittoria sarebbe altrettanto possibile se la disabilità si presentasse in un contesto normale e potesse davvero contare solo sulla determinazione di chi non vuole farsene schiacciare? Prima di dire di no, andate a cercare su internet il nome di Massimiliano Sechi e il suo sito. Troverete dei video con un giovane esuberante, una faccia estroversa e franca, e una parlantina serena e coinvolgente, dove chi parla non nasconde niente del suo handicap motorio, ma invita chi guarda a considerare la sua persona per intero, non solo per quello che manca.
Massimiliano ha 40 anni, una sola gamba, nessuna mano, un sorriso enorme e migliaia di fans su Facebook e su YouTube, ai quali si uniscono le decine di cosiddetti abili, quelli a cui di arto non ne manca alcuno, che si rivolgono a lui perché insegni loro a superare il proprio limite e la propria insicurezza. Di mestiere è un atleta regolarmente tesserato all’Asi nella categoria dei giochi elettronici competitivi, ma è anche un motivatore, cioè un allenatore della volontà altrui, e non è difficile capire perché: lui sa benissimo cosa sia la fatica di darsi un obiettivo che sembra irraggiungibile.
A differenza di Zanardi, Massimiliano non ce l’ha un prima corporeo a cui fare riferimento: nato focomelico, le mani e una gamba non li ha avuti mai, e questo gli ha causato un’adolescenza molto più complicata di quella dei suoi coetanei. Massimiliano, figlio di persone comuni, non aveva arti al carbonio per sopperire a quelli mancanti, né una carrozzina a motore per essere indipendente. Ha dovuto affrontare la separazione dei suoi genitori proprio mentre pativa la difficoltà di non poter fare una vita uguale a quella dei suoi compagni di scuola, uscire con le ragazze, praticare sport, muoversi in autonomia. Per anni ha sofferto di attacchi di panico. L’unica soddisfazione gli veniva dalla passione per i videogiochi, davanti ai quali passava le ore, diventando sempre più competente.
Dopo il diploma, per Massimiliano, però, le cose cominciano a cambiare. Mentre lascia Sassari e si trasferisce a Pavia per cercare di trasformare l’informatica in una professione, i suoi risultati nei videogiochi diventano così brillanti che nel mondo professionistico ci si accorge di questo misterioso competitore che in rete si fa chiamare The Handless Gamer, il giocatore senza mani. Nei video come nel gioco, Massimiliano non nasconde la sua disabilità, ma anzi la usa per dimostrare che per lui non è un limite. Questo gli causa qualche prevedibile reazione di fastidio, ma non se ne fa scoraggiare.
Quando qualcuno si rifiuta di giocare contro di lui perché è disabile, Massimiliano gli dimostra con i numeri di non avere problemi a vedersela anche con i migliori. Usando un tappetino elettronico con il piede sinistro per muoversi negli ambienti di gioco, e un mouse attaccato al torace, questo tenace sassarese è diventato campione del mondo in una disciplina che ormai è uno sport a tutti gli effetti, con campionati di categoria e atleti regolarmente tesserati.
Alla sua porta sono arrivati i grandi sponsor e tanta attenzione mediatica, ma Massimiliano non se ne è fatto spaventare, e ha usato la visibilità per i suoi progetti professionali e sociali. Oggi supporta iniziative umanitarie a favore di Save the Children e Croce rossa italiana, ma promuove anche un marchio di prodotti con la scritta «No Excuses – Niente Scuse», che è il suo motto, perché per lui le uniche difficoltà per ottenere i suoi obiettivi sono quelle che ti metti da solo: tutto il resto è superabile. «Ho cercato per troppi anni di essere normale – dichiara in un suo video con uno sguardo che sembra vederti oltre lo schermo – ma oggi la normalità non mi basta più. Io voglio una vita straordinaria».