Il mondo ha la febbre

Fermare il riscaldamento globale, rispettare la Terra, comprendere che l’ambiente è la nostra prima casa. Questi impegni sono consegnati alla responsabilità di tutti e di ciascuno.
08 Novembre 2021 | di

Un grado e mezzo di temperatura. Può sembrare un nonnulla, e invece a quel grado e mezzo sono legati i destini del mondo in cui viviamo e, in fondo, della nostra stessa umanità. Se non riusciremo velocemente a contenere l’aumento della temperatura globale entro un grado e mezzo – dicono gli scienziati – nell’arco di pochi anni andremo incontro a stagioni calde molto più lunghe, eventi estremi, piogge torrenziali, inondazioni costiere, scioglimento dei ghiacciai, aumento di livello del mare, acidificazione degli oceani. Ampie aree della Terra diventeranno invivibili. Se poi la temperatura dovesse aumentare di 4 o 5 gradi, sarebbe una catastrofe. Le ondate di calore estremo che si verificavano in media ogni cinquant’anni diventerebbero molto più frequenti: con un grado e mezzo di riscaldamento potrebbero verificarsi ogni cinque anni, con due gradi ogni tre anni e mezzo, con 4 gradi ogni 15 mesi.

«È chiaro che siamo tutti nella stessa barca, affrontando una sfida che riguarda ciascuno di noi nelle nostre stesse vite», ha detto la professoressa Katharine Hayhoe, capo scienziata di The Nature Conservancy, organizzazione ambientale statunitense. Ecco perché gli occhi del mondo, in questo mese, sono puntati verso Glasgow, in Scozia, dove si tiene la cosiddetta Cop26, ovvero la conferenza globale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (di cui l’Italia è co-organizzatrice). La pandemia l’ha fatta slittare di un anno, ma i temi sul tavolo restano gli stessi, e tutti «scottanti». Se il mondo ha la febbre, che cosa stiamo realmente facendo per curarlo? Nel 2015 a Parigi 196 Paesi hanno sottoscritto un accordo impegnandosi ad adottare iniziative per mantenere l’aumento della temperatura globale entro i due gradi (rispetto al periodo preindustriale) e possibilmente non superare il «famoso» grado e mezzo. Ma abbiamo preso sul serio questo allarme?

All’inizio di agosto il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) nel suo rapporto lo ha scritto chiaro e tondo: se non ci saranno «riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra», l’obiettivo di limitare il riscaldamento a un grado e mezzo o addirittura due sarà fuori portata. Quasi impossibile. «Il clima sta cambiando e il ruolo dell’influenza umana sul sistema climatico è indiscusso», ha sottolineato Valérie Masson-Delmotte, copresidente del gruppo di lavoro I dell’Ipcc. I rischi che stiamo correndo dovrebbero mettere d’accordo tutti, ma le resistenze di alcuni Paesi frenano i buoni propositi. Secondo il rapporto, le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane hanno già provocato un aumento di circa 1,1 gradi di riscaldamento rispetto al periodo 1850-1900. E nei prossimi vent’anni potremmo toccare (o superare) il fatidico grado e mezzo di crescita.

Non è un film di fantascienza e non dobbiamo pensare che questi problemi riguardino altri Paesi. Negli ultimi cinquant’anni i disastri legati a eventi meteorologici si sono quintuplicati: sicuramente ne abbiamo in mente almeno uno a poca distanza dalle nostre case. Secondo il bollettino dell’American Meteorological Society, il 2020 è stato tra i tre anni più caldi da metà Ottocento e i ghiacciai hanno perso massa per il 33° anno consecutivo. Con un innalzamento della temperatura di «appena» un grado e mezzo, il 6 per cento degli insetti, l’8 per cento delle piante e il 4 per cento dei vertebrati perderanno oltre la metà della loro area geografica: nell’ultimo secolo il tasso di estinzione delle specie è aumentato fino a mille volte rispetto alla storia del pianeta.

Anche in Italia abbiamo una «vittima illustre» del global warming, il ghiacciaio del Calderone nell’Appennino abruzzese, che dall’era preindustriale ha perso il 92 per cento del suo volume: come hanno segnalato gli scienziati all’iniziativa Climbing for climate, lo scorso settembre, «ormai è da considerare come un insieme di due glacionevati, ovvero non ha più la capacità di plasmare il territorio, e ha perso anche il primato di ghiacciaio più a sud d’Europa». E come ci ricorda un recentissimo studio dell’Università delle Nazioni Unite, in questi disastri ambientali siamo tutti interconnessi. Ad esempio, l’innalzamento della temperatura nelle regioni artiche porta a intensi sbalzi di caldo o di freddo in Europa o in Nord America: l’ondata di gelo che lo scorso febbraio ha «ghiacciato» il Texas, congelando perfino la rete elettrica e provocando la morte di 210 persone, è direttamente influenzata proprio dagli sconvolgimenti artici, poiché il vortice polare (la massa di aria fredda che ruota sopra il Polo Nord) si è spostato verso sud.

Che cosa si deve fare? Non è più tempo di «bla, bla, bla», come ha esclamato la giovane attivista Greta Thunberg alla Pre-Cop26 di Milano, a fine settembre. Un passo fondamentale è la riduzione dell’uso di fonti fossili e la decarbonizzazione, ovvero il taglio drastico delle emissioni di carbonio: occorre che diminuiscano del 45 per cento nei prossimi dieci anni. Alla riunione di Milano, l’inviato Usa John Kerry ha detto che gli States, insieme a Unione Europea, Regno Unito, Canada e Giappone, si sono già impegnati a rispettare l’obiettivo del grado e mezzo, «e anche l’India è sulla buona strada». Resta lo «scoglio» della Cina che è prima al mondo per le emissioni di CO2: di recente ha annunciato che non finanzierà più la costruzione di nuove centrali a carbone all’estero, ma sarà sufficiente? E i Paesi del G20 garantiranno davvero i 100 miliardi di dollari all’anno destinati ai Paesi più fragili per sostenere la «giustizia climatica»?

Non è esagerato affermare che siamo di fronte a una sfida vitale. E anche le nostre scelte personali possono dare un contributo. Nel suo libro Sos-Azioni semplici che possono fare la differenza (pubblicato in Italia da Laterza) Seth Wines dell’Università della British Columbia a Vancouver ci rammenta che quando usiamo l’auto emettiamo un chilo di anidride carbonica ogni 7 chilometri, e quindi nei nostri spostamenti dovremmo privilegiare il treno o l’autobus, così come per le vacanze dovremmo preferire le mete più vicine, almeno un anno su due, per evitare l’aereo, molto inquinante. Anche a tavola si può fare qualcosa, per esempio scegliendo i cibi locali e stagionali, a chilometro zero: se mangiamo pesce e verdure, rispetto a pollame e carni rosse, possiamo risparmiare quasi una tonnellata di CO2.

Anche gli urbanisti e i progettisti si interrogano su come «ridisegnare» le città con un approccio più sostenibile. «Abbiamo detto molte volte che moltiplicare i boschi attorno alle città e i sistemi continui di alberature al loro interno significa contribuire a pulire l’aria assorbendo le polveri sottili, ombreggiare le zone pubbliche evitando riscaldamenti eccessivi, ridurre la CO2 prodotta dalla vita urbana e migliorare la biodiversità delle specie viventi urbane, dunque la qualità della vita e della salute pubblica», rimarca l’architetto Stefano Boeri nel suo saggio Urbania (Laterza).

Un obiettivo da perseguire con urgenza? «Quaranta milioni di nuovi alberi nelle quattordici aree metropolitane italiane, e piantare almeno 130 milioni di alberi, due per ogni abitante del nostro Paese», prosegue l’architetto, autore tra l’altro del famoso Bosco Verticale, l’iconico grattacielo “costellato” da piante che da Milano si sta replicando in diverse aree d’Europa e del mondo. «Il Bosco Verticale nasce dall’idea di un edificio con le facciate non ricoperte da vetro o da acciaio ma da foglie – spiega Boeri –. Facciate biologiche che riducono il calore, che assorbono anidride carbonica e polveri sottili, che favoriscono la biodiversità delle specie. È l’idea di una casa per gli alberi abitata anche dagli umani».

La scorsa estate a Riccione (RN) l’architetto ha presentato un interessante progetto per il Ceccarini Green Energy District, grazie al quale il distretto del famoso viale Ceccarini diventerà il primo quartiere italiano energeticamente autosufficiente, con l’aumento delle coperture verdi, l’ottimizzazione dei consumi idrici ed energetici, il potenziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Fermare il global warming, rispettare la Terra, comprendere che l’ambiente è la nostra prima casa. Questi impegni sono consegnati alla responsabilità di tutti e di ciascuno. E in particolare ai giovani che abiteranno questo mondo: «Non c’è dubbio: la loro generazione ha di fronte due strade – conclude l’architetto Boeri –. O saranno testimoni di una tragedia annunciata, o protagonisti di un riscatto straordinario». L’importante è che si riscaldino soprattutto i cuori. 


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Data di aggiornamento: 08 Novembre 2021

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