17 Luglio 2018

Il ritorno dei replicanti

Incaricato di ritirare vecchi robot ribellatisi al sistema, l’agente K si scontra con una realtà inattesa in «Blade Runner 2049» (Usa 2017), sequel del «cult» diretto da Ridley Scott nel 1982.
Una scena tratta da «Blade Runner 2049» con protagonista Ryan Gosling nei panni dell'agente K.
Una scena tratta da «Blade Runner 2049» con protagonista Ryan Gosling nei panni dell'agente K.
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Blade Runner era il film di culto diretto da Ridley Scott nel 1982 e basato sul romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi, il cui titolo originale del 1968 suonava però più coinvolgente: Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Gli androidi sono automi organici (bioingegnerizzati) di forma umana, robot pensanti costruiti per obbedire a funzioni servili e a compiti rischiosi nelle colonie spaziali. Il film di Scott era ambientato nella Los Angeles del 2019, piovosa e fumosa, fatta di ghetti e ipertecnologie, di chioschi cinesi e grattacieli neogotici illuminati da gigantesche immagini pubblicitarie in movimento. Alcuni androidi ribelli, i Nexus 6, tornavano sulla Terra per avere giustizia dal loro costruttore (volevano una vita più lunga dei soli quattro anni loro assegnati), ma venivano inseguiti ed eliminati da un cacciatore di taglie, Rick Deckart.

Blade Runner 2049 prosegue la saga: siamo nel 2049, appunto, e la stessa città ospita uomini e robot (dotati di longevità indefinita), i quali devono tutti collaborare tra loro per sopravvivere. L’agente K (l'attore Ryan Gosling) è un replicante di ultima generazione, obbediente e meticoloso, incaricato di «pensionare» i vecchi Nexus che trasgrediscono il loro ruolo e formano una comunità di ribelli. K scopre però segreti imprevisti che hanno a che fare con la propria identità, con le qualità umane delle macchine e con le loro capacità di amare e persino di riprodursi. Il potere industriale vuole specularvi sopra, ma chi cerca la verità sa emanciparsi eroicamente dai comandi ingiusti. In nome della verità K, malinconico e tormentato come un eroe noir, cercherà Deckart e avrà con lui una conversazione decisiva.

Il nuovo film di Villeneuve è una pellicola di 163 minuti in cui i generi letterari si mescolano senza fretta tra di loro (fantascienza, thriller, drammatico, azione, noir, racconto filosofico) con la stessa fluidità, con cui la tecnologia s’innesta negli organismi umani. Il detective interagisce con replicanti sensuali, l’architettura iperfunzionale dialoga con un deserto apocalittico, le colture sintetiche potenziano quelle biologiche (per scongiurare un’altra carestia), gli ologrammi cercano nostalgicamente un corpo in cui incarnarsi. Le inquadrature giocano col vuoto: sono chiare, ordinate, scarne; la splendida fotografia è essenziale, esplicativa, analitica. L’ecosistema del 2019 è andato distrutto e ora la polvere avvolge rovine di edifici (ormai pezzi archeologici) al cui interno ci sono appartamenti splendidamente freddi, eleganti nei dettagli, che contrastano con i monolocali claustrofobici della vecchia Chinatown di Los Angeles.

Il regista ci sottopone a un interrogativo tipico dell’etica delle macchine e della roboetica. Siamo autorizzati a trattare da schiavi alcune macchine che sono così simili a noi? Viceversa, i robot hanno doveri sociali? Altra questione etica aperta è quella della persistenza personale. Negli androidi i tecnici innestano ricordi umani. Se trapiantiamo la memoria di un principe nel corpo di un calzolaio, quest’ultimo diventa il principe che egli ricorda d’essere stato o resta lo stesso calzolaio, che gli altri uomini continuano a vedere e riconoscere dall’esterno? Il cinema ha sempre giocato sugli esperimenti di trasporto e fusione mentale, ma a prezzo di un’amputazione semplicistica: quando «sposto» una memoria, non ho a che fare solo con pensieri impersonali o tracce neurobiologiche anonime. Io manipolo un tratto spirituale che appartiene intimamente a qualcuno.

L’orrore per la morte unisce uomini e automi. Perciò crediamo ai racconti che la macchina del cinema, come un androide forte e pietoso, ci offre per un tempo limitato, per frammenti commoventi, per lampi di futuro. Poi verrà il buio, the End, l’ora malinconica di una separazione degna. Ma intanto il desiderio di liberazione ha contagiato altri sceneggiatori, altri lettori e altri Blade Runner, i quali torneranno a inseguire quei replicanti ribelli, che siamo rimasti.

Data di aggiornamento: 17 Luglio 2018
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