«Il Signore vi dia pace»

Vera pace, per san Francesco, è stare, con la grazia di Dio, in mezzo alle difficoltà del mondo con cuore pacificato. Ne parliamo con fra Carlos Trovarelli, Ministro generale dei minori conventuali. 
17 Maggio 2022 | di

La guerra in Ucraina sta lacerando legami, oltre che vite umane. Sta mettendo in contrapposizione amici, parenti, fratelli, che hanno l’unica colpa di trovarsi divisi da un confine tracciato dalle logiche degli uomini. Sta accadendo anche alla famiglia francescana, perché i figli di Francesco si trovano in Ucraina ma anche in Russia. Eppure, la forza del Vangelo li sta tenendo uniti: gli uni sotto le bombe, ad accogliere i profughi dalle zone di guerra più colpite, gli altri a pregare incessantemente per la pace, implorando che questa tragedia finisca presto. Gli uni a fianco della propria gente, cercando di non farsi trascinare dall’odio; gli altri accanto alla propria, cercando di diffondere una cultura di pace. Entrambi impegnati a far capire al mondo che la guerra attualmente in corso non è guerra di popoli, ma di pochi uomini folli al governo. E, soprattutto, impegnati a gettare semi di pace, destinati a germogliare quando questo strazio finirà e sarà tempo di ricostruire i cuori, prima ancora degli edifici. Di tutto questo abbiamo parlato con fra Carlos Trovarelli, Ministro generale dei frati minori conventuali.

Msa. Fra Carlos, per la prima volta dopo decenni, anche in Europa i francescani si trovano ora fisicamente divisi a causa di una guerra. Che cosa vorrebbe dire a questi suoi figli e fratelli?

Trovarelli. Vorrei dire di pregare e che anch’io prego per loro. Perché solo nella preghiera e nella croce del Signore troviamo non le risposte ma un senso a quanto sta accadendo e che solo fino a poco fa era impensabile. E poi vorrei raccomandare loro di continuare a fare scelte evangeliche, aiutando le persone che hanno bisogno. I frati offrono la loro testimonianza preoccupandosi della gente, rispondendo ai bisogni del popolo di Dio, secondo il Vangelo. Certo, va bene anche fare delle analisi della situazione geopolitica, cercare di capire le ragioni di questa ingiustizia, ma in primo luogo bisogna aiutare, continuando a pregare gli uni per gli altri.

Come possono oggi i credenti, e in particolar modo i francescani, essere strumenti concreti di pace?

Ci sono differenti livelli. Un primo livello è quello quotidiano, dove la pace si costruisce giorno per giorno, nei luoghi in cui il Signore ci pone. Non si diventa costruttori di pace solo dinanzi ai conflitti conclamati, come una guerra. Ben prima possiamo farci strumenti di pace in famiglia, nel lavoro, nell’opera di evangelizzazione, nella pastorale, anche trasmettendo l’insegnamento della Chiesa sul tema della pace. Un altro livello è quello educativo: nei luoghi in cui possiamo lavorare coi ragazzi, coi giovani, dobbiamo compiere una vera e propria opera di educazione alla pace, facendo capire il valore delle piccole scelte quotidiane, che non solo sono alla portata di tutti, ma sono davvero essenziali per costruire pace e giustizia. E poi, infine, ci sono livelli un po’ più «alti», dove possiamo parlare un po’ più «forte»; luoghi in cui si fa politica e in cui i francescani sono presenti, come «Franciscans International», l’organizzazione internazionale francescana non governativa, che svolge attività di advocacy presso le Nazioni Unite proprio per la promozione di una cultura e di scelte di giustizia, pace, rispetto dei diritti umani e tutela ambientale.

Più di qualcuno in queste settimane ha sottolineato come sia giunto il tempo di cominciare a considerare il tema della guerra con una mentalità nuova rispetto al passato, iniziando con lo «smilitarizzare» innanzitutto il proprio animo, per costruire rapporti più pacifici con gli altri. In questo senso, quanto può incidere il messaggio francescano?

Questa è una grande verità. A tutti noi capita di essere «militarizzati» internamente. Ma la pace, come ci dice Francesco e ancora prima il Vangelo, comincia dal nostro cuore. Per pacificarci interiormente c’è bisogno di una grande disciplina spirituale e anche, mi verrebbe da dire, di una sorta di «oggettività spirituale». Mi spiego: molte volte noi prendiamo facilmente posizioni nette e questo non è sempre un male, intendiamoci, ma quando queste posizioni portano a chiuderci all’altro allora non può venire niente di buono. Il Vangelo ci dona invece un orizzonte più ampio, spingendoci oltre e sopra le nostre singole prese di posizione. Se lo lasciamo entrare in noi, il Vangelo ci aiuta a non restare fermi a un livello istintivo, ma ci dona la capacità di cercare qualcosa di più profondo, di più vicino a un linguaggio universale della pace e del dialogo, che chiunque possa comprendere. Il Vangelo toglie le barriere ideologiche. Questo, certo, non è immediato, è un processo lungo, ma possiamo cominciare pian piano a costruire dei veri e propri itinerari di educazione alla pace in famiglia, nelle parrocchie, nella Chiesa, nutrendoci innanzitutto di tanta Parola di Dio, ma anche cercando di imparare dalla storia, studiandola e approfondendo le conquiste degli uomini nel campo dei diritti umani.

Gli operatori di pace, diceva don Tonino Bello, si prendono cura «di tutti i popoli oppressi dai poteri mondani, di tutte le vittime della guerra, di tutti i discriminati dall’odio, di tutti i violentati nei più elementari diritti umani». Come farlo oggi, concretamente?

Anche in questo caso ci sono più livelli a cui possiamo agire. Quello più immediato, «casalingo», è più semplice: ci sono tante persone e tante comunità che già oggi si prendono cura degli ultimi, dei poveri, dei discriminati. Siamo davvero circondati da tanto bene, c’è moltissima gente che con generosità e magari senza grande istruzione opera evangelicamente in questo senso. Il livello più alto anche in questo caso è più difficile, ma non impossibile. Noi come Chiesa e come francescani abbiamo la possibilità di incidere sul piano politico, curando la formazione di laici e di dirigenti capaci di lottare per la giustizia, contro i grandi nemici che oggi sono rappresentati dal «dio-mercato» e dal «dio-potere». Purtroppo siamo rimasti indietro nell’opera di educazione e di responsabilizzazione dei laici in questo campo, dobbiamo fare di più. La tentazione di arrenderci dinanzi a un sistema ingiusto è forte, ma invece dobbiamo continuare a operare per portare avanti i valori del Vangelo. A volte ci sembrerà che la nostra sia una voce che grida nel deserto: non importa, dobbiamo andare avanti. Lo dimostra papa Francesco, ma lo hanno dimostrato anche altri Pontefici prima di lui, che hanno alzato la loro voce contro l’ingiustizia. Non dobbiamo mai stancarci di annunciare il Vangelo, con le parole, le azioni e la testimonianza della nostra vita.

Come erede spirituale di san Francesco, quale messaggio vorrebbe dare al mondo in questo momento affinché si diffondano maggiormente una cultura e delle scelte di pace?

Vorrei, partendo dal messaggio di san Francesco, ricordare ancora che la prima cosa che ciascuno di noi dovrebbe fare è pacificare il proprio cuore. Nessuno può essere operatore di pace se non porta in sé la pace del Risorto. E poi dovremmo rifiutarci di sposare i criteri facili con cui si muovono i potenti, proponendo valori alternativi alle logiche del mondo. Si comincia a farlo nel quotidiano, dove possiamo combattere l’unica guerra che valga davvero la pena di essere combattuta: la guerra contro l’individualismo esasperato, contro la sopravvalutazione del proprio ego. Dovremmo cercare, come ci ripete il Vangelo, di restare nel mondo senza essere del mondo, rifiutando le logiche competitive e mercantilistiche così diffuse, senza scendere a compromessi con esse, perché sono queste logiche malate a generare le guerre. La Chiesa è chiamata a difendere e a diffondere i valori del Vangelo, e io vorrei che ciascuno di noi ricordasse che può contribuire a farlo lasciandosi ogni giorno coinvolgere dalla Parola del Signore. Gesù Cristo è la pace: se lo faremo operare nella nostra vita, diventeremo anche noi costruttori di pace.


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Data di aggiornamento: 17 Maggio 2022

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