Ogni ragazzo scappa di casa. Fisicamente o simbolicamente la fuga gli consente di arrivare fin sull’orlo del precipizio. Spellandosi mani e ginocchia, procurandosi ferite le cui cicatrici altro che si cancellano. Eppure l’unica speranza per sapere qualcosa di sé è provare a scappare per vedere il mondo che sta fuori e guardare oltre.
Lo fanno anche i protagonisti del libro, uscito lo scorso 26 ottobre, di Michele Rocchi, psicoterapeuta, uno che i ragazzi e gli adolescenti li conosce bene. «L’adolescenza è una terra di mezzo, ed è una terra boscosa – ha scritto a Rocchi, in forma privata, Milva Cappellini leggendo i suoi libri –. A volte assomiglia a un deserto vuoto con rare oasi, altre, come in un negativo fotografico, a una selva oscura con radure illuminate. Luce con ombra, sterpaglia con pantano; sempre l’adolescenza è così, ambigua, bifida: sterile e fertile, insidiosa e fruttuosa, temibile e seducente, feroce e tenera, bellicosa e terrorizzata».
I protagonisti ora si chiamano Sandro, Nuto, Dino e Giuliano. Vivono nella Casa dei bambini. Isolati dal muro di cinta dell’orfanotrofio non hanno nessuna notizia dal mondo esterno. Ricordano invece, molto bene, incendi, saccheggi, omicidi, case distrutte e i fratelli da cui sono stati separati. Le maestre provano ogni giorno a rassicurarli: «Sono incubi, fantasie», ma loro sanno che non è vero.
Così provano a scappare, si alleano nei piani di fuga. Solo che, oltre il muro, l'amicizia non potrà proteggerli. E, una volta saltati fuori, scopriranno che ci sono sul serio guerra, sangue e violenza.
Diventati adulti e usciti dalla Casa, nonostante le promessa di rivedersi, si perderanno di vista.
Ma quando tutti i destini sembrano ormai segnati, due di quei bambini si reincontreranno in quel luogo, abbandonato da anni, pronti a un ultimo viaggio nel passato. Il passato di tutti loro.
La Casa dei Bambini è una storia di amicizia, sopravvivenza e scoperta. Un romanzo su un’Italia possibile che ricorda il Novecento e anticipa il prossimo secolo.