La via dell'eternità
Aprile è, quest’anno, il mese della Pasqua. Per i credenti, la festa della vittoria della vita sulla morte. Ma anche il «passaggio» (la parola viene infatti da pesach, passaggio, liberazione) che ci ricorda che il legame tra la vita e la morte non si può tagliare, se non a caro prezzo.
Eppure, è un legame che noi tendiamo a rimuovere: per questo non riusciamo più a vivere pienamente. Vediamo la morte dappertutto e non riusciamo più a vedere la risurrezione, a vedere la bellezza nonostante tutto. O, al contrario, rimuoviamo il pensiero della morte, sogniamo di diventare immortali o ci comportiamo come se lo fossimo, e così non riusciamo più ad assaporare il nostro presente, a vivere una vita sensata e feconda, a uscire dalla bolla del nostro io per incontrare veramente qualcosa e qualcuno.
Separare la vita e la morte ci rende vuoti, superficiali oppure angosciati, spenti. La «via» sulla quale siamo invitati ci mostra invece, non con i discorsi ma con una parola di carne, che nessuna delle morti che possiamo attraversare potrà mai cantare vittoria sulla vita.
Lo scrive anche nei suoi diari una giovane donna ebrea, Etty Hillesum, ad Auschwitz: «Ma cosa credete? Credete che io non veda il filo spinato, non veda il dominio della morte? Li vedo. Ma vedo anche uno spicchio di cielo. E questo spicchio di cielo ce l’ho nel cuore, io vedo la libertà e la bellezza».
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