La galassia delle «Zigulì»
Chissà quante volte vi sarà capitato di vedere il famoso spot televisivo degli anni Ottanta che pubblicizzava le «Zigulì», le caramelline alla frutta più amate da bambini, mamme e papà! Io lo ricordo, eccome!
Ma «Zigulì» non è solo una caramella: è anche un racconto autobiografico: Zigulì. La mia vita dolce amara con un figlio disabile (Mondadori, 2013) di Massimiliano Verga, scrittore e professore universitario, ma soprattutto un papà che narra del rapporto con suo figlio affetto da una forma complessa di autismo. Pensate che a esso si ispira l’omonimo docufilm del 2019, a cui il Tg1 lo scorso autunno ha persino dedicato uno speciale.
A mio avviso, «Zigulì» rivoluziona la figura educativa del padre: parliamo di un film «scomodo» che mette a nudo senza falsi buonismi le sofferenze, le mille sfaccettature emotive di un genitore che non perde mai il punto di vista del figlio. Non a caso Verga, in una delle prime scene, spiega: «Moreno arriva da un’altra galassia […] noi non abbiamo pensato a una persona come Moreno, quando abbiamo costruito questo mondo!». E qui mi viene in mente un disegno che un bambino mi ha regalato quasi trent’anni fa in occasione di uno dei miei primi incontri nelle scuole, su cui era rappresentato un alieno. Di seguito, la didascalia: «Gli handicappati non sono così!».
Vi starete chiedendo: «Ma la disabilità è ancora considerata di un altro pianeta?». Sì, purtroppo! Perché quelle che possono essere le difficoltà incontrate nei vari contesti dalle persone con disabilità e da chi è accanto a loro, non vengono quasi mai contemplate.
Se tutti costruissimo un mondo su misura per tutti, senza limiti strutturali e culturali, non parleremmo più di handicap, di lotte per l’inclusione, e questo concetto non sarebbe mera utopia, bensì parte del nostro vivere quotidiano.
Un altro spunto di riflessione ci viene dato da Massimiliano quando ci parla di «riprogettare la propria esistenza con tutte le ipotesi», dunque di comunicazione della diagnosi, del modo in cui questa viene vissuta dal genitore. È come se a un certo punto, in questo caso specifico, un padre fosse costretto a immaginare un percorso alternativo alle proprie aspettative. Come se dovesse utilizzare un navigatore per reimpostare il tragitto: ma mentre il TomTom dei genitori con figli senza alcuna difficoltà apparente ci mette pochi secondi per ricalibrarsi, quello dei genitori con figli disabili ha bisogno di tempo e supporto. Bisogna che ci sia l’intervento di qualcuno che abbia a cuore i piccoli, direbbe il caro don Milani.
Ma la cosa che più colpisce è l’autenticità del discorso metaforico sulla percezione del tempo con cui Massimiliano conclude la sua intervista: «Lui ti costringe a coltivare il dubbio, a non dare nulla per scontato, a improvvisare». Perché la disabilità di per sé è un imprevisto che ci obbliga a uscire dai nostri schemi, a empatizzare, mettendoci sempre nei panni dell’altro, se davvero vogliamo conoscerlo.
Quindi non posso che concludere con l’incipit del film: «Ci sono delle cose che io non ti potrò mai spiegare e che se tu avrai voglia di capire, dovrai trovare il modo di chiederle a lui… Per come ti viene!». E voi, ricordate le «Zigulì»?
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