La guardiana del faro

Settimane a contatto con la natura, da sola, in un faro disabitato. Un’esperienza che cambia la vita e che riporta all’essenziale. Una storia di luce e di mare nel cuore della Bretagna.
30 Luglio 2021 | di

«Sono sempre stata attratta dagli spazi immensi, dal contatto con la natura, dalla gente riservata, ma semplice e diretta. Mal sopporto i convenevoli, i rapporti falsati dai social media. Insomma cercavo qualcosa, un posto dove essere me stessa. Ci sono voluti tanti viaggi e tanti incontri, per capire che quel posto era la Bretagna». Esordisce così, Susy Zappa, scrittrice e artista di Erba (CO), che ha fatto di questa regione della Francia, lingua di terra proiettata verso l’Atlantico nell’estremo nord ovest del Paese, il centro della sua missione e della sua vita. «La mia non è solo un’attrazione per i paesaggi – spiega –, ma per la ricchezza culturale che incrocia storia e leggenda, cultura celtica e cristianità, e per lo stile di vita al ritmo della natura». 

Terra di corsari e di naufragi

Una regione fuori dal tempo, dove il silenzio è fatto di vento, di onde e del garrito dei gabbiani. Un territorio in cui la potenza del mare ha frammentato il litorale in una pletora di isolette e aguzzi scogli, mentre in alcuni fiordi l’acqua salata si acquieta, incontrando l’acqua dolce del fiume. Un mare possente, dove hanno navigato i più famosi corsari della storia, a tratti inquietante, gioia per gli occhi e pericolo per i marinai. «È per questo che la Bretagna è terra di fari – commenta Zappa – e i fari sono come sentinelle vive, impregnate delle vite dei guardiani che li hanno abitati fino a un decennio fa, benché la tecnologia avesse sostituito il lavoro umano». Alcuni guardiani hanno passato la vita nei loro fari, del mare avevano imparato ogni cosa e il tenere accesa la lanterna a protezione della vita altrui era una missione. «Ho sempre desiderato fare quell’esperienza unica, quasi simbiotica». 

Susy inizia a studiare i fari, ne diventa una delle scrittrici più appassionate, fino a che un giorno scopre che il faro sull’isola di Wrac’h, sulla costa dei Pays des Abers, è stato parzialmente ristrutturato, grazie all’associazione IPPA del piccolo borgo di Plouguermeau/Lilia. Un tuffo al cuore. «Scrivo all’associazione, spiego il mio desiderio di trascorrere al faro un turno di guardia. Da sola. Con mia sorpresa, l’associazione accetta». Il 14 maggio 2019 Susy arriva sulla spiaggia di Saint-Cava, davanti all’isola di Wrac’h; ad attenderla Jean-Pierre, il presidente dell’associazione e una carriola per trasportare valigie e viveri. La marea è bassa e il faro sembra vicino, ma è un effetto ottico causato dai bagliori dei ristagni d’acqua. Davanti a loro l’estran, ovvero il fondo del mare rivelato dalla bassa marea, un immenso deserto di vita pulsante, alghe colorate, crostacei e rocce, un paesaggio che con l’alta marea viene sommerso da oltre dieci metri d’acqua, su cui passano pescherecci, velieri e navi da trasporto. Per attraversarlo con gli stivali di gomma ci vuole circa un’ora, mentre il ciclo delle maree è di sei. Qui la natura detta legge.

L’isola è battuta da un vento insistente, tutto il giorno. Al faro non c’è acqua potabile, né corrente, quindi non si può accendere la luce, né conservare il cibo in frigo. Al mattino ci sono 5-7 gradi, durante la notte la temperatura scende a picco, ma la stufa è inagibile, perché il vento dell’Est risputa il fumo all’interno della cucina. La toilette è esterna. «Solo all’arrivo mi rendo conto del significato di toilette sèche (bagno secco). Alzo la tavoletta del wc e “tutto” è cristallizzato sotto un manto di segatura». Per farsi la doccia, peraltro gelata, bisogna pompare l’acqua a mano almeno cento volte. «E dire che in vita mia – sorride Susy – non ho fatto neppure un giorno di campeggio». Nel faro tutto era avvolto da una polvere bianca, il salmastro assorbito dai muri e dall’umidità. «Mi sono chiesta più volte chi me lo aveva fatto fare, ma la voglia di vivere quell’esperienza era più forte del disagio». 

Quando Jean Pierre se ne va, la marea risale e Susy resta sola in balìa del faro, spaventata e orgogliosa. «Il momento più critico era la notte – racconta – quando mi avventuravo sulla ripida scala, con la lanterna e la borsa dell’acqua calda. Intorno buio pesto. Ogni rumore, sibilo, scricchiolio era amplificato. Una prova difficile per una come me, che dorme con la luce accesa». La stanza sotto la lanterna del faro è foderata di legno come una tana: «Mettevo il tavolo di fronte alla porta, come a proteggermi, e mi rifugiavo sotto le coperte. Nel buio della notte, il fascio luminoso del mio faro, intrecciato a quello de l’Ille Vierge e di Lanvaon, era uno spettacolo indimenticabile». 

Al mattino, di fronte al faro la bassa marea rivela il più vasto parco di ostriche d’Europa, un immenso «vigneto» di mare su cui si chinano gli ostricoltori. «Tutto era stupore: il percorso del granchio, il volo degli uccelli, gli incontri furtivi con le talpe, gli abitanti che praticavano la pesca a piedi, la velocità con cui risale la marea, dalla quale ogni giorno riaffiora il menhir Menozac’h, vecchio di 5 mila anni. La mia solitudine era un’armonia di rumori, non mi ero mai sentita tanto vicina alla natura». Susy deve organizzarsi seguendo le maree, ormai sa che quando il menhir mostra la testa, lei può già mettere i piedi in acqua per le sue escursioni o per andare al paese a fare la spesa nell’unica épicerie, il piccolo emporio in mezzo alle rare case. «Un giorno al negozio non trovavo i soldi per pagare, chiesi alla persona dietro di me se voleva passare avanti, la negoziante mi disse che se avevo fretta non dovevo venire in Bretagna. Mi resi conto frequentando la gente che il contatto con la natura rende essenziali e veri. Decine di gesti di attenzione, riservati e gratuiti, hanno accompagnato il mio viaggio». 

La vita di prima, vista dal faro, ha un altro sapore: «Perdiamo troppo tempo ad apparire. Ognuno di noi dovrebbe cercare il modo per ritrovarsi». Contemplando il paesaggio, che continuamente muta, i pensieri si fanno più nitidi. L’Atlantico e il suo cielo scorrono come un magma, si fondono l’uno nell’altro. «Un’ora prima una luce morbida e intensa domina le distese cristalline, un’ora dopo puoi ritrovarti avviluppata in una nebbia lattiginosa nella quale perdi l’orientamento. Il mare ti insegna che ogni istante è bellezza, è vita, è stupore. Noi invece abbiamo sempre fretta, perdiamo il senso di essere una piccola parte del tutto. Un’alienazione pericolosa». Il faro, ne è convinta Susy, è metafora della vita: «Abitando il faro ho abitato me stessa. Siamo fatti per cercare la luce».

 

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Data di aggiornamento: 30 Luglio 2021
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