La libreria di Emilio
In un bar di Ossona, nel milanese, mentre bevo un caffè al bancone, sento un anziano conversare con una donna di mezza età rimasta chiusa fuori casa, perché la serratura della porta del suo appartamento si è inceppata. L’uomo le suggerisce di rivolgersi al fabbro del paese Emilio Porrati, capace di sbloccare – a sua detta – anche i meccanismi più moderni. Rimango ad ascoltare la conversazione, anche se ho finito di bere il mio caffè. Poi, andandomene, provo a immaginare il signor Emilio. Penso a un uomo forte e muscoloso, con le mani grandi. Una persona capace di vedere nel buio, oltre il vetro blu di una maschera che protegge gli occhi. Un artigiano d’altri tempi, che unisce i metalli con la magia delle scintille.
Ascolto le leggende che gli abitanti dei piccoli paesi si tramandano oralmente e che l’aria disperde nelle campagne: Emilio non è solo «il bravo fabbro», è una persona speciale. Così decido di incontrarlo nel suo laboratorio. Ma lui non c’è. Se ne è andato senza accostare l’uscio dell’officina. Ha lasciato la luce accesa e il messaggio «torno subito». Mentre lo aspetto, mi muovo incuriosito nel suo ambiente. Le officine deserte hanno storie singolari da raccontare. I muri, affumicati dalle scorie delle saldatrici e innaffiati dalle faville dei dischi abrasivi, lasciano trasudare racconti che nessuno ha mai narrato.
Il «suono» stonato del propulsore di un’anziana Renault 4, interrompe il vagabondare della mia mente. La «R4» di Emilio ha un solo sedile: quello del conducente. Ciò che resta dell’abitacolo è adibito a piano di carico, serve per trasportare la saldatrice, la cassetta degli attrezzi da lavoro, il materiale ferroso, le piccole grate, le fioriere sagomate, i porta mensole, i tavolini... Non è semplicemente un abile artigiano questo farè (ferèe a Milano, fabbro nel resto d’Italia). Si occupa anche di antiquariato ormai da decenni, da quando cioè comprese che la storia degli avi stava perdendo forma e identità, e l’inesorabile innovazione del progresso si stava accaparrando il futuro.
Attaccate al suo laboratorio ci sono stanze colme di cimeli curiosi. Emilio si solleva la visiera dalla fronte e mi accompagna orgoglioso nel suo eden. Appese alle pareti ci sono miriadi di macchine a pedali in plastica e in metallo. Incontriamo jukebox e dischi in vinile, cavalli a dondolo e macchine da cucire, scooter monoposto e cerchioni in legno di vecchie automobili. In un angolo del cortile, lontano da occhi indiscreti, c’è un garage chiuso a chiave dove Emilio custodisce una Fiat 500 color senape, il ricordo dei suoi vent’anni e dei suoi primi amori.
Ero venuto dal Porrati per altre necessità, ma mi sono perso. Il mondo idilliaco della memoria mi ha condotto in un labirinto senza uscita. Ho bisogno delle sue mani, devo dar vita a un sogno: realizzare una libreria da «attaccare» a una parete. Un telaio in ferro che faccia da supporto alla mia biblioteca, alle mie passioni.
Gli mostro il disegno che ho abbozzato. Emilio guarda con curiosità. Si metterà all’opera all’alba di domani. In breve tempo la parete del mio salotto accoglierà la libreria come una parte di sé. Tra le pagine dei volumi accatastati sui ripiani, verrà conservato anche un pezzo di cuore del maestro. Un uomo dalla saggezza sopraffina, consapevole che, anche se un giorno il mondo cambierà, quella libreria continuerà a vivere e ad ospitare libri, dove è custodito il nostro sapere.