La lotteria della vita
Sulla spiaggia di Elmina, tra le grandi barche oceaniche dei pescatori, un ragazzo mi avvicina, chiede, gli rispondo. «Italia? Voglio venire con te». La lotteria della vita ha scelto per lui un paese africano, il Ghana. Un paese dove, per grande fortuna e coraggio, non c’è guerra e dove, a leggere le statistiche, l’economia va bene. Tassi di crescita superiori all’8 per cento. Interessano a questo ragazzo i tassi di crescita? I numeri non mi dicono niente dei suoi occhi. Ho lui davanti, non un forum di economisti.
Come gliela racconto l’Italia? Appena avrà una possibilità e la famiglia raccoglierà del denaro prenderà la strada del deserto e del Mediterraneo? E poi ci sarà un ministro degli Interni (e la maggioranza degli italiani, a scorrere i sondaggi) a sbattergli una porta in faccia. Ad abbandonare il suo corpo al mare. Come glielo racconto a questo ragazzo che il suo sogno è destinato a diventare un incubo? O un tormento se non riuscirà ad andarsene e la vita gli scivolerà addosso in una strada melmosa di Elmina (città di turisti afroamericani che vengono a vedere il luogo dove furono rinchiusi i loro avi)?
Come glielo racconto alla gente del mio Paese che il desiderio di una vita migliore, di qualche possibilità in più, di una speranza di futuro è, spesso, più forte della paura, dei fucili, dei fili spinati.
«Nessuno lascia casa a meno/che casa non sia bocca di uno squalo», scrive la poetessa somala Warsan Shire. Ha trent’anni Warsan e ha lasciato la sua terra. Là c’era la guerra. In Ghana, no, la guerra non c’è. Ma il ragazzo che ora mi guarda andare via senza voltarmi non vede un futuro davanti ai suoi anni. «Non ho opportunità», dice. E poi non dice più nulla.
Io posso scegliere di vivere in un intero continente. Con qualche acrobazia e fatica, posso decidere di migrare, di vivere all’altro capo del mondo. Mi fanno perfino pagare meno tasse in certi Paesi. Sono libero di viaggiare. Mia figlia può cercarsi un futuro in un intero mondo.
Quel ragazzo a cui non ho nulla da dire, non può fare niente di tutto questo. Se non guardare l’oceano.
Dall’Italia, un giovane amico senegalese mi dice che è stato il migliore della sua classe. Ha vent’anni e un permesso di soggiorno come profugo. E vuole fare l’infermiere.