La notte del Nicaragua
Un vecchio film, nel 1983, raccontava gli ultimi giorni della rivoluzione sandinista in Nicaragua. La tirannia di una famiglia, i Somoza, era caduta quattro anni prima. Vi è una scena in Sotto tiro: una infermiera nicaraguense osserva il dolore di una giornalista nordamericana per la morte del suo amico e collega, ucciso dalla Guardia Nazionale somozista. L’infermiera guarda il vuoto: «Adesso vi accorgerete di noi. Dopo migliaia di morti, hanno colpito uno di voi». La morte di Bill Stewart, reporter statunitense dell’«ABC», avvenuta sotto gli occhi di una telecamera, fu decisiva per la condanna internazionale di Somoza. Il mondo che, per anni, aveva ignorato gli eccidi dei militari governativi, si commosse per Bill. La Rivoluzione, poche settimane dopo, vinse.
Quaranta anni dopo, un’altra ribellione scuote il Nicaragua. Da tre mesi, dal 18 di aprile, il popolo del Nicaragua protesta contro il potere assoluto di Daniel Ortega, uno dei vecchi comandanti della rivoluzione, e di sua moglie, Rosario Murillo. Sono morte oltre trecento persone. Le Rivoluzioni si smarriscono nel sangue. La chiesa di San Sebastian a Diriamba, cittadina a quaranta chilometri dalla capitale Managua, è assediata da gruppi paramilitari fedeli al governo di Ortega: al suo interno avevano trovato rifugio alcuni infermieri che assistevano i feriti delle manifestazioni. Domenica 8 luglio, nella regione di Diriamba sono state uccise quattordici persone. Il 9 luglio, il cardinale Leopoldo Brenes, il vescovo Silvio Baez e il nunzio apostolico Stanislaw Sommertag raggiungono la chiesa, per solidarietà e per soccorrere gli assediati. I paramilitari aggrediscono i tre prelati. Il vescovo è ferito a un braccio. Gli strappano il crocifisso dal petto.
Per questo il Nicaragua, ignorato fino all’altro giorno, arriva sui giornali italiani ed europei. Il giornalismo è stato il mio mestiere e so come ragioniamo, conosco le regole. A chi importa del Nicaragua? Dopo trecento morti in tre mesi, una guerra civile (come vogliamo chiamarla?), dopo settimane e settimane di protesta, ci accorgiamo di questo Paese lontano, sappiamo del sogno infranto di una Rivoluzione perduta. I giornalisti si accorgono del Nicaragua solo dopo l’aggressione a tre sacerdoti coraggiosi. Dice il vescovo Baez: «Siamo stati insultati e malmenati, ma è molto più grave quello sta soffrendo il nostro popolo».