La notte di Natale: vietato fumare!
Al posto 36 A è vietato fumare. Oggi, a diecimila metri di quota, è vietato ovunque accendersi una sigaretta. Non era così un tempo. La società e le nuove regole hanno imposto l’obbligo di annoiarsi senza lo svago del fumo. L’alternativa alla monotonia di un volo è quella di darsi all’alcool gratuito offerto da signorine a cui è stato «ordinato» di sorridere versando il veleno. Sempre. Non mi piace il whisky, neppure il cognac. Non gradisco neppure il vino, se non in rare occasioni. Semmai un po’ di birra, ma mi si gonfia lo stomaco. La soluzione alla noia dell’immobilità «costretta» di un volo non esiste, bisogna obbligatoriamente osservare l’asettica staticità di uno schienale in tessuto rosso ben rifinito, con tavolino estraibile in plastica. O fissare l’impenetrabile cielo color pece oltre l’oblò.
Al posto 36 B siede una signora cicciottella già avanti con gli anni, ma non parla italiano e neppure inglese. A volte si volta e mi guarda accennando un sorriso. Non so cosa ci faccia su questo aereo diretto verso sud con atterraggio previsto oltre l’equatore. Probabilmente avrà un figlio che ha trovato impiego nell’altro emisfero o una madre anziana fuggita tanti anni fa durante la guerra.
È curioso indagare, anche se solo psicologicamente e per un breve istante, attraverso i volti delle persone che si mettono in viaggio la notte di Natale. Esseri umani apparentemente soli, che abbandonano i doni sotto l’albero addobbato della propria casa. O probabilmente gente che sta correndo verso un fantomatico albero di Natale lontano migliaia di chilometri, sotto il quale regali impacchettati con cura e amore in carte argentate, stanno aspettando il loro arrivo. Volti sconosciuti diretti verso mete lontane e ignote, sorvolando oceani e immensi deserti dove il Natale non esiste, dove la festa degli occidentali diventa solo il periodo di alta stagione nei residence a cinque stelle.
Non «sballa» di molto il fuso orario quando si vola in direzione dell’Antartide, diecimila o forse più metri sotto la moquette dove poggiano i nostri piedi, a quest’ora sta nascendo Gesù Bambino. Le slitte cariche di doni sono già state attaccate alle renne e le tavole, avvolte in stoffe rosse abbellite con stelline color oro, sono già rigorosamente imbandite per il tradizionale cenone della Vigilia.
Lo stare in famiglia, a volte con parenti noiosi, non scelti, sta per avere inizio: si accendono i finti sorrisi, i falsi abbracci si sprecano, si scambiano i regali dovuti, le chiacchiere di rito e i commedianti auguri di buone feste prendono il sopravvento. Chiunque a modo suo, soffre attorno alla tavola apparecchiata con piatti ricchi di pietanze che non finiscono mai. Ma quando arriva il panettone e la ciotolina del mascarpone, il palato si rinfresca. Si «butta giù» un sorso di spumante, l’ultimo. E la festa è finita.
La signora al mio fianco ha abbassato lo schienale, si è assopita. Nell’insonnia che mi accompagna durante ogni volo aereo penso a mia madre e sento la sua voce: «È già sera, anche quest’anno il Natale è finito». Nell’incubo del tempo che non passa mai, appoggio il naso al finestrino per evitare i riflessi delle luci interne, provo a cercare un orizzonte per occupare la mente. Al posto 36 A, tanti anni fa, si poteva fumare.