La salute è la civiltà di un Paese
Negli ultimi due anni e mezzo ho trascorso molte settimane in ospedali e centri di riabilitazione. Diversi «infortuni» (emorragie, fratture, ernie), diversi reparti (da neurochirurgia a ortopedia, con ostici passaggi per le trincee dei pronto soccorso, decine di viaggi in ambulanze), perfino geografie differenti (ospedali di Padova, Firenze, Matera: mi inginocchio sempre di fronte al Servizio Sanitario Nazionale). Quindi: mi considero un esperto di storie sanitarie. Le ho provate da paziente. Come capita ogni giorno a migliaia e migliaia di uomini e donne. Per questo mi allarmo, mi preoccupo, mi arrabbio, protesto, quando assisto al tentativo, stupido e cattivo, di smantellare la Sanità Pubblica. Come è possibile non capire che la salute di una comunità di cittadini sia indispensabile per vivere bene, per progredire e avere un diffuso benessere economico e sociale? L’Italia dell’ultimo mezzo secolo si è sorretta su un sistema sanitario che ha garantito a tutti i cittadini il diritto alla salute. Un sistema «universalistico, equo, capace di uguaglianza». Davvero vogliamo che vada a rotoli? È davvero possibile, come mestamente si ripete da mesi e mesi, che la pandemia non abbia insegnato niente di niente?
Alla vigilia della Legge Finanziaria, traspare, da giornali e social, solo l’impossibilità di investire in salute. Si parla molto di cuneo fiscale, reddito di cittadinanza, bonus fiscali. Poco, pochissimo di sanità. E solo per dire che non ci sono i soldi. Mi smarrisco tra i numeri. Ho capito che la spesa sanitaria scenderà al 6,1% rispetto al Pil. Leggo che Francia e Germania sono al 10%. La media europea è del 7,9%. Secondo la Corte dei Conti quindici regioni italiane sono a rischio commissariamento per i loro bilanci sanitari disastrati. Da sola la spesa sanitaria è l’80% dei bilanci regionali. Sette regioni, cinque nel Sud (Campania, Sicilia, Sardegna, Molise e Calabria) più la Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano (toh, anche il Nord più efficiente) non riescono a garantire i livelli minimi di assistenza. Dal Sud i pazienti migrano in cerca di una qualità migliore di cura. «Troppo forte il disequilibrio – mi spiega un medico lucano –. Non c’è uguaglianza di risorse tra Padova e Caltanissetta. Quanti medici per abitanti? Quanti respiratori, tac, monitor, pompe? Questo sistema non è più universalistico». E allora è «un si salvi, chi può».
Mancano i medici nei pronto soccorso, reparti dai quali si fugge. Per eccesso di lavoro, per la troppa fatica. Mancano i medici di famiglia. Quasi tremila. Mille solo in Lombardia. Quasi cinquecento in Veneto. Oltre trecento in Emilia-Romagna. Incerti calcoli avvertono che tra i tre e i quattro milioni di italiani sono senza medico di base. E il 42% di questi medici ha superato il tetto di 1500 assistiti. Le liste di attesa si allungano a dismisura, tutti sfogliamo il rapporto 2023 sulla salute di Cittadinanzattiva. Saltano agli occhi casi che spesso sono la normalità: tre mesi per un intervento per tumore all’utero, due mesi per controllo cardiologico da effettuare entro tre giorni. Leggetevi le linee guida del ministero della Salute e scoprirete che spesso sono fissate regole di carta straccia. Il Paese è squilibrato e, se la sanità pubblica rischia di naufragare, le grandi compagnie private sono pronte a conquistare il mercato della salute: gli italiani, chi può, spendono 41 miliardi per curarsi, pagano di tasca proprio il 75% delle analisi specialistiche. Un malato in famiglia, spesso, vuol dire dedicare il 40% dei bilanci alle sue necessarie cure. Solo un’alleanza seria e forte fra gli uomini e le donne della Sanità pubblica italiana e i cittadini, pazienti e gente in buona salute, può salvare questa macchina sanitaria che l’Italia ha saputo pensare e costruire.
A margine di questo quadro più che allarmante, una storia veneziana: a Venezia si sono accorti che, per pensionamenti (l’età media dei medici di famiglia spesso è elevata), erano rimasti al lavoro solo 44 medici di base. Interi sestieri ne sono e saranno privi. L’Ulss 3 veneziana ha lanciato un appello: venite a lavorare nella città più bella del mondo. La promessa è di aiutare chi si candiderà a trovare case e ambulatorio. In pochi giorni hanno risposto in 254. Tra cui coppie di medici venezuelani e argentini. Per ora sono stati selezionati undici candidati.
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