L’altro Francesco
Ho sempre diffidato di chi scrive: «Questo è un luogo lontano». La lontananza è una questione di punti di vista. Al Reparto Ortega non si sentono lontani. Le poche decine di persone che vi vivono sono certi di essere «il centro del mondo». O, almeno, uno dei centri del mondo. In realtà se io penso a questo villaggio di Mancarrón, l’isola più grande dell’arcipelago di Solentiname, in fondo al lago Cochibolca, alle frontiere fra Nicaragua e Costa Rica, ne avverto la solitudine. Ma questo è il mio punto di vista dopo aver camminato per oltre tre ore per raggiungere le sue case, la sua chiesa evangelica, il suo campo da baseball, la sua scuola primaria. Solamente via mare (o meglio, via lago) si può arrivare fino a qui. E non è mai una navigazione semplice.
Il paese non ha un vero nome: gli Ortega sono la famiglia che venne ad abitare qui nei primi decenni del ‘900. Don Francisco, 80 anni appena compiuti, oggi è il patriarca di questo pueblo familiare. Qui si vive di agricoltura: fagioli, riso, banane. Prodotti che poi si vendono al mercato dei paesi della costa. Una donna fa il pane e, via barca, lo manda all’altro villaggio dell’isola. Quando si gioca a baseball (le squadre arrivano da tutto l’arcipelago) qui si inventano una radio fasulla con un cronista che imita i giornalisti sportivi. Ci sono anche le casse, ma nessuno trasmette. Ci sono le ragazze a fare il tifo e c’è chi prepara da mangiare. Due uomini vengono con la chitarra. Una festa, insomma.
Don Francisco è cattolico, nella sua casa è riposta una grande croce di legno, dipinta di bianco, che lui, il tre di maggio, giorno della Santa Cruz, porta in una processione quasi solitaria fino a una radura per inginocchiarvisi davanti. Don Francisco crede ai segni: al collo ha sempre una croce di metallo. Una volta che se ne dimenticò fu il cielo a ricordargliela: «Vidi apparire la croce tra le nuvole», racconta. È un cuentero, un cantastorie, don Francisco, ti tiene ore a parlare del paese, dell’isola, della sua vita, dei suoi innumerevoli figli, nipoti e parenti. E delle meraviglie del mondo che vorrebbe vedere: il Tempio di Diana, a esempio. Che crede essere a Gibilterra. Non è la prima volta che vado a trovarlo (sì, si può tornare al Reparto Ortega) e ha sempre una strana richiesta: l’anno scorso mi chiese un manifesto di una grande barca a vela. Questa volta mi ha domandato un abeccedario. Suo figlio vorrebbe mazze e guantoni da baseball.
In questa terra lontana è arrivato il Papa. Mi guarda da una foto appesa alle pareti di legno della casa di don Francisco. Lui si avvicina, mi tocca la spalla e sussurra: «El otro Francisco es bueno».