27 Novembre 2019

Lavoro o famiglia?

Una reale e diffusa armonizzazione tra famiglia e lavoro è possibile, anche se la questione non è culturalmente presente nel nostro Paese in modo adeguato. Come fare? Ecco qualche idea.

© Giuliano Dinon / Archivio MSA

«Cari Edoardo e Chiara sono una madre, moglie e lavoratrice. Non ho domande da farvi o racconti di crisi coniugali, ma volevo condividere con voi un po’ delle mie quotidiane fatiche. Come lavoro faccio il medico in un reparto di ospedale e mi piace tantissimo la mia professione, perché me la sento addosso come una seconda pelle. Mi piace sostenere i malati, mi piace prendermene cura, fare tutto il possibile perché la loro patologia possa risolversi. La cosa che non va è che siamo sotto organico e spesso mi ritrovo a dover fare straordinari e turni massacranti. Se qualche collega si “permette” di stare male si rischia d’impazzire per coprire i suoi turni e ugualmente quando qualcuno va in ferie. A casa, però, ho due bambini e un marito che mi aspettano e li adoro (tutti e tre), sto bene con loro e mi sento molto fortunata ad averli.

Il problema è come conciliare lavoro e vita familiare. A volte i bambini mi reclamano e se i turni capitano male rischio di non vederli per giorni, per non parlare della vita di coppia che è ridotta all’osso. Senza contare il discorso economico, che comunque ha la sua rilevanza, l’idea di non lavorare mi mortifica e il part-time non me lo concedono. Lo so che la mia situazione è simile a quella di molte altre donne e immagino che non abbiate soluzioni magiche da propormi, ma a volte mi dico che se non avessi trovato un marito così comprensivo e dei figli così bravi (senza contare i suoceri che mi aiutano molto), forse la mia famiglia non avrebbe retto e penso a quante famiglie in giro saltano a causa di un mondo del lavoro pensato solo per i single​​».Laura

 

Carissima Laura, hai proprio ragione, anche noi constatiamo come l’armonizzazione tra lavoro e famiglia sia dentro a degli equilibri decisamente squilibrati. Coppie che ci raccontano di ferie che non si fanno quasi mai assieme perché le esigenze dell’azienda sono più forti di quelle della persona; individui, sotto un vero e proprio ricatto da parte dei datori di lavoro, che se non fanno straordinari (a volte neppure pagati) rischiano di essere lasciati a casa; famiglie dove entrambi lavorano a turno e riuscire a stare mezza giornata assieme è come vincere il superenalotto; dipendenti di centri commerciali che neppure a Pasqua o a Natale riescono a stare con la famiglia.

Per fortuna il mondo del lavoro non è tutto così e ci sono molti esempi positivi, con datori di lavoro che vietano di lavorare la domenica, che alle 17.00 mandano a casa i dipendenti dalle loro famiglie, che pensano a come far star bene i propri impiegati perché un lavoratore che sta bene ed è contento produce di più e con più passione di uno che si sente sfruttato ed è insoddisfatto.

La scorsa estate come «Oasi Famiglia» abbiamo organizzato un campo per famiglie e una coppia del campo (lui è un piccolo imprenditore) mi raccontava come aveva portato la propria fede anche nella sua piccola attività. Non fa mai lavorare fino a tardi i suoi 5/6 dipendenti, in modo che possano rincasare per tempo dalle loro famiglie; cerca di concordare le ferie con loro, affinché coincidano con quelle del proprio partner; prima di iniziare il lavoro dicono insieme una breve preghiera e a ogni riunione viene proposto di recitare, liberamente per chi se la sente, un rosario. Come questo imprenditore ce ne sono molti altri. Il vero problema è che la questione di una reale e diffusa armonizzazione tra famiglia e lavoro non è presente culturalmente nel nostro Paese e questo, unito al fatto che gli italiani in Europa sono il popolo che lavora mediamente più ore per avere una busta paga nella media più bassa, produce molta fatica per le famiglie.

Anche il part-time spesso ce l’ha chi vorrebbe il tempo pieno e non viene dato a chi vorrebbe più tempo per la propria famiglia: e invece basterebbe incentivare fiscalmente il part-time per chi ha figli minorenni e tassarlo maggiormente per tutti gli altri. Inoltre, dovrebbero essere premiate e promosse tutte le forme di flessibilità lavorativa, di telelavoro (con la possibilità di lavorare da casa), e di sostegno alla genitorialità (ad esempio ridurre l’orario durante l’infanzia dei figli per poi recuperare quelle ore quando i figli crescono, una sorta di banca del tempo lavorativo). In un’Italia sempre più vecchia e con sempre meno bambini sostenere i coraggiosi che ancora credono nella bellezza della vita è un bene per l’intera nostra nazione.

Cara Laura hai proprio ragione: molte famiglie si spaccano anche a causa di lavori troppo ingombranti e stressanti, anche se, come ci dimostrate tu e la tua famiglia, non basta questo per far saltare una coppia.

Quando incontro delle coppie spesso mi sento chiedere se sia giusto che la donna rinunci a lavorare per dedicarsi ai figli (ovviamente se questo è possibile dal punto di vista economico). Premesso che anche il padre potrebbe rimanere con i figli (cosa fattibilissima dopo il primo anno di vita del bambino), personalmente ritengo che la questione del «femminile a casa» non abbia delle regole fisse e valide per tutti, ma sia da calibrare da persona a persona, da coppia a coppia. Come ben descrivi tu, Laura, se rinunciassi al tuo lavoro di medico, perderesti un importante pezzo di te, della tua missione e tutti noi avremmo un bravo e appassionato medico in meno. Magari per altre donne (o uomini) non sarebbe un grosso problema rinunciare al lavoro e quindi, economia permettendo, potrebbero rimanere a casa e dedicarsi a tempo pieno a uno dei lavori più complessi e nobili che si possano compiere: amare i propri figli e il/la proprio/a partner, regalando alla società figli e coniugi amati e quindi capaci di amare.

Edoardo e Chiara Vian

 

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Data di aggiornamento: 27 Novembre 2019
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