L’eredità di Lucille Bridges

Bridges è morta un mese fa, ma il destino le ha fatto un regalo: vivere fino al giorno in cui ha potuto vedere la prima donna di pelle scura diventare vicepresidente Usa.
02 Dicembre 2020 | di

L’elezione di Kamala Harris alla vicepresidenza degli Stati Uniti è la vera novità di questa turnata elettorale oltre oceanica. I quotidiani italiani per giorni non hanno parlato d’altro ed è comprensibile: vista dall’Italia, che in diciotto legislature non ha mai avuto una donna alla presidenza del Consiglio e ne conta solo il 30 per cento in parlamento, l’elezione di Harris alla seconda carica del governo statunitense è già una notizia in sé. Se poi si aggiunge che la vicepresidente californiana è di origine indiana e jamaicana, il miracolo di veder infranto il muro di due delle più forti discriminazioni sociali è compiuto e dà speranza a tutti quelli che nel mondo credono nell’uguaglianza dei diritti.

Gli Stati Uniti sono un Paese multietnico da centinaia di anni, eppure il processo storico che ha reso possibile l’elezione nel 2020 di una donna non caucasica alla Casa Bianca è cominciato in tempi recenti. Quando Kamala Harris nasce è il 1964 e la segregazione razziale – scuole, autobus e carriere pubbliche differenziate per neri e bianchi – è stata decretata illegale in tutti gli Stati Uniti da appena tre mesi. I bambini cosiddetti coloured da quel momento potranno frequentare le stesse scuole di quelli bianchi, anche se la sperimentazione della de-segregazione era cominciata già qualche anno prima, grazie a una sentenza della corte suprema che aveva dichiarato anticostituzionale l’esclusione razziale. Negli Stati del Sud, quelli dove il suprematismo bianco resiste tutt’ora più forte che altrove, nessun genitore nero aveva però avuto il coraggio di mandare i propri figli nelle scuole dei bianchi. Avevano paura di ritorsioni e non sbagliavano, perché l’evoluzione egualitaria era stata presa malissimo nelle comunità ex schiaviste e la minaccia di una reazione violenza era concreta. 

Occorreva un gesto coraggioso e a farlo, nel 1960, sarà una madre, Lucille Bridges, che insieme a suo marito Abon prenderà la non facile decisione di mandare alla scuola dei bianchi di New Orleans sua figlia seienne Ruby. Lucille Bridges è un’attivista dei diritti civili, non solo una mamma, e sa perfettamente che scegliere di fare da apripista è un gesto anzitutto politico che avrà conseguenze pesanti sulla loro vita familiare, ma senza il quale non sarà possibile immaginare una vita più giusta per i bambini neri che verranno. E ha ragione: il primo giorno di Ruby alla scuola elementare William Frantz della Louisiana è una pagina di storia immortalata anche dal pennello di Norman Rockwell. La piccola Bridges e sua madre arrivano all’istituto scortate da quattro agenti federali che le accompagneranno poi per ogni singolo giorno dell’anno scolastico. La ragione è che fuori dalla scuola c’è una folla inferocita di genitori bianchi che lancia uova e pomodori e grida minacce e insulti nella loro direzione. Lucille sa che cosa sta succedendo, Ruby invece no: pensa che siano manifestazioni di strada per il Mardi gras, il carnevale di New Orleans. Invece ce l’hanno proprio con lei, la prima bambina nera che osa andare dove studiano i bianchi. 

Tutti i bambini lasciano la classe dove Ruby si è seduta e gli insegnanti dell’intera scuola si rifiutano di fare lezione finché non se ne sarà andata. A comprova del fatto che a volte basta una sola persona coraggiosa a fare tutta la differenza che serve, un’insegnante invece sceglierà di restare. Si chiama Barbara Henry e sarà lei a fare da maestra a Ruby per quell’incredibile anno, insegnando a quell’unica allieva come se avesse davanti un’intera classe. 

La comunità bianca non si arrende alla perdita del privilegio della segregazione e reagisce in tutti i modi possibili. Lucille Bridges perderà il lavoro e lo stesso capiterà a suo marito Abon. La bambina sarà ripetutamente minacciata di morte per avvelenamento, al punto che gli agenti federali la faranno rinunciare alla mensa e le consentiranno di mangiare solo quello che si è portata da casa. Per anni i Bridges – che avevano altri sette figli oltre a Ruby – saranno mantenuti dalle associazioni per i diritti civili, ma non smetteranno un solo giorno di mandare la figlia a scuola. Il loro gesto, oltre a dare coraggio alle altre famiglie dei cittadini di colore, spingerà però anche molti bianchi a scegliere da che parte stare.

Già al secondo giorno di scuola un genitore, il pastore metodista bianco Lloyd Anderson Foreman, romperà infatti lo sbarramento degli altri genitori urlanti e porterà dentro l’istituto sua figlia Pam, sebbene in una classe diversa da quella di Ruby. Nei giorni successivi, uno dopo l’altro, i bambini verranno fatti tornare a scuola, esclusi quelli della classe di Ruby, ma la crepa nel muro era stata aperta e indietro non si sarebbe tornati mai più. Quella madre della Louisiana, l’attivista Lucille Bridges, è morta, a 86 anni, il 10 novembre 2020. Era malata da tempo, ma il destino le ha fatto un regalo: vivere fino al giorno in cui ha potuto vedere la prima donna di pelle scura occupare la seconda carica governativa del Paese. Senza di lei e il suo coraggio quel cambiamento che oggi ci sembra normale non sarebbe stato possibile. 

 

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Data di aggiornamento: 02 Dicembre 2020
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