Lingua del Santo, il richiamo di un segno
Cari amici, il Signore vi dia pace.
Nel cuore di febbraio, giovedì 15 e domenica 18 (vedi programma), si celebra in Basilica la «Festa della traslazione delle reliquie del Santo», popolarmente detta «Festa della lingua».
È il ricordo di un evento prodigioso avvenuto nel 1263 quando san Bonaventura, nella ricognizione dei resti mortali di Sant’Antonio, a 32 anni dalla morte, ne ritrovò la lingua incorrotta. Mostrandola ai fedeli stupiti e attoniti, esclamò: «O lingua benedetta, che hai sempre benedetto il Signore e lo hai fatto benedire dagli altri, ora appare a tutti quanto grande è stato il tuo valore presso Dio».
La preziosa reliquia, custodita in un artistico reliquiario e visibile nella cappella del tesoro dietro l’abside, è ancora motivo di lode e meraviglia, ma talvolta, anche di dubbi e perplessità. Non posso non citare al riguardo, il commento simpatico e ironico di un pellegrino che giustificava il tutto con la furbizia dei frati che, a suo dire, «avevano intinto secoli fa la lingua in qualche prodotto segreto per meglio conservarla». Confesso di essere stato, sorridendo, possibilista al riguardo, ricordando i frati da sempre esperti in farmacia ed erboristeria!!
In realtà, al di là delle battute, si è aggiunto in anni recenti un altro fatto misterioso e intrigante, subito interpretato dai devoti come un «segno» di Dio a conferma del miracolo della lingua e delle parole potenti che sant’Antonio con essa pronunciava.Nel 1981, infatti, in un’ultima ricognizione dei resti mortali del Santo, gli studiosi dell’università di Padova hanno rinvenuto fra le ceneri anche il fragile apparato vocale di sant’Antonio (laringe, faringe, corde vocali...), pure perfettamente e inspiegabilmente conservato dopo ottocento anni.
Anche tale dato mi è stato però contestato in un recente dialogo con un turista. Questi, con molto scetticismo, commentava e riduceva il tutto ad un puro fatto casuale, ad un’accidentale coincidenza! Altro che «segno» dall’alto, altro che «conferma» divina! Solo ed esclusivamente «un caso». In effetti, la teoria del «caso» non è poi così fuori moda e secondo alcune ipotesi scientifiche sarebbe all’origine persino del mondo, dell’universo, dell’uomo.
Confesso di non trovarmi per niente a mio agio in tale lettura e interpretazione della vita che vedo minimalista e parziale e soprattutto alquanto triste, priva di ogni speranza e orizzonte di senso. «Per caso» nasciamo? Siamo «gettati nel mondo» per banale accidente? «Per caso» ci ritroviamo in una famiglia, dei genitori..? «Per caso» cresciamo e studiamo? «Per caso» ci innamoriamo, soffriamo o gioiamo? «Per caso» ci ammaliamo e invecchiamo? «Per caso» moriamo? Una prospettiva davvero agghiacciante!
Che bello invece e confortante avere la certezza e la fede che la nostra vita scaturisca dal cuore di Dio e che tutto sia frutto di un disegno più grande! Bello intravedere «i segni» della sua presenza nel nostro cammino quotidiano come nelle vicende dell’umanità e credere dunque che sia Lui ad indicarci una strada, un progetto da scoprire, una vocazione da realizzare! In altre parole: siamo pensati, siamo amati per sempre e da sempre! Siamo unici e irripetibili! Non siamo frutto del «caso», ma «figli di Dio»! Solo in Lui tutto acquista un senso, direzione, redenzione: anche il dolore, anche la morte, anche la sofferenza. Cari amici «in ricerca», con questa consapevolezza nel cuore, niente vi è allora di più commovente che lasciarsi sorprendere e interpellare dal Signore e dal suo invito: «Vieni e seguimi». Nulla di più alto che accogliere la sua chiamata, per appartenergli e testimoniarlo con l’intera vita.
Certo, così avvenne, anche per il giovane S. Antonio!
Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
frate Alberto (fra.alberto@davide.it)
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