L'oscura allegrezza
Un manoscritto di memorie nel cassetto di una scrivania. La convinzione che quelle pagine sarebbero sprecate se mai nessuno potrà leggerle. Inizia così il romanzo che Manuela Diliberto dedica «al caruso Angeleddu, d’anni tredici, ucciso dal suo picconiere con otto bastonate». Un’immagine forte che, nel libro, indurrà il protagonista a una scelta altrettanto decisa.
Roma, 1911. Alla vigilia di cambiamenti che trasformeranno l’Europa, Giorgio incontra Bianca, una giovane donna indipendente che lo allontanerà da ciò che gli è più caro per spingerlo verso un cammino scomodo, unica via per la felicità.
Nel libro troviamo: la crisi economica, i populismi e i nazionalismi dilaganti fra la società, i problemi di genere, la mancanza di lavoro e la sfiducia dilagante per la classe dirigente. Eventi e parallelismi, di incredibile attualità. L’oscura allegrezza è uno scorcio storico e, allo stesso tempo, una denuncia sociale di come certe piaghe siano ancora oggi presenti.
Grazie alla cura per le parole e la costruzione dei dialoghi, il romanzo si snoda con una partitura perfetta in un doppio registro: la stessa storia è raccontata da un lui (il giornalista Giorgio Kreifenberg) e da una lei (Bianca D’Ambrosio, militante comunista).
Il doppio registro sta anche nell’ossimoro del titolo. «Per essere allegri dobbiamo tutti passare delle fasi di infelicità. Quello che porta all’allegrezza è fare quella scelta scomoda che ci riporta a noi - conclude Diliberto -. Essere se stessi è un essere “dolorosamente”; però è l’unico modo per essere felici. Se fai una scelta comoda? Sei felice in quel momento, ma poi ti viene la depressione».
Il romanzo ruota proprio attorno alla domanda: «da che parte stare?». Bianca, la protagonista, non ha dubbi. E nemmeno Manuela Diliberto che rigira il quesito al fratello, Pierfrancesco, conosciuto come Pif, nell’intervista «allegra» che chiude il romanzo con un ritratto inedito dello stesso fratello famoso.