Meglio la paghetta!
Qualche anno fa, in piena crisi, fece scalpore la notizia che i ragazzi italiani erano quelli con una maggior disponibilità di cash, ossia di soldi alla mano. La cosa non mi stupì più di tanto. Alle serate per genitori mi capita spesso di chiedere chi utilizza con i figli grandicelli la paghetta e l’esito è sempre un po’ scoraggiante: il 5, al massimo il 10 per cento dei genitori. Il comportamento più comune è la «funzione bancomat»: i figli chiedono soldi e la mamma, il papà o entrambi esaudiscono più o meno integralmente le richieste. A volte anche i nonni o gli zii entrano a far parte del «giro bancomat», consentendo agli adolescenti di disporre, alla fine, di una cifra che può risultare abbastanza significativa. È parere diffuso tra gli specialisti, anche di educazione finanziaria, che questa consuetudine familiare sia perlomeno equivoca, non lasciando ai figli alcuna possibilità di utilizzo dei soldi dentro limiti prefissati.
La paghetta, pertanto, è meglio, perché stabilisce la possibilità di imparare a organizzarsi all’interno di una cifra che è comunque limitata, evitando ogni sorta di tentazione consumistica e onnipotente. In fondo, educare i figli vuol dire aiutarli a imparare a vivere, a fare scelte, a sviluppare competenze. Le regole essenziali perché la paghetta risulti efficace sono più o meno queste. Anzitutto aspettare che i figli abbiano una sufficiente età della ragione, non prima pertanto della quinta elementare o comunque degli 11 anni, ossia alla fine dell’infanzia propriamente detta. È il padre la figura più significativa per gestire la paghetta, in quanto il paterno rappresenta quella possibilità di allontanarsi in modo regolamentato dal nido materno, che è tipica dell’età. Nel caso di presenza esclusiva della madre, occorre che la stessa proceda in una logica paterna, senza compiacenze protettive o di iper-accudimento.
Le cifre sono sobrie, si inizia con poco e poi si cresce. A 11-12 anni 3-5 euro alla settimana sono sufficienti. A 17 anni, 20 euro vanno bene. La cifra deve comprendere tutto quello che serve all’autonomia dei ragazzi e delle ragazze, in modo che non abbiano ulteriori richieste, se non per situazioni eccezionali. Meglio una cadenza settimanale che aiuta a gestire i soldi su un arco di tempo sostenibile. Un mese appare una misura troppo lunga e impegnativa. Infine, non c’è bisogno di barattare la paghetta con l’aiuto casalingo: quest’ultimo deve essere una necessità imprescindibile di collaborazione da parte di ogni figlio.