M’impegno!
Dipingere: sciabolare di colore o solcare di nero una tela bianca, e tutto per esprimere come ci sentiamo in questo momento. Non necessariamente opere d’arte, bastano anche schizzi frettolosi sul margine di un foglietto volante. A sfumature e prospettive affidiamo l’arduo compito di essere almeno una parte della nostra biografia.
Che cosa ha a che fare la nobile arte del dipingere con l’impegnarsi? Parrà strano, ma in realtà proprio molto. Almeno per il fatto incontrovertibilmente etimologico che il verbo stesso «impegnarsi», be’, proprio da «dipingere» viene fuori. Così stando al latino «pingere». Ma, allora, che nesso logico c’è tra i due verbi, che insomma non è poi così chiaro cosa abbiamo in comune tra loro? Nell’antica Roma colui che si obbligava, a fare o a non fare una certa cosa piuttosto che a restituire una somma di denaro, esprimeva la propria volontà di portare a termine il suo compito, appunto il suo impegno, dando un «pegno»: che il più delle volte era la propria firma o comunque un qualche segno grafico, una sorta di «dipinto». Che significava il valore che si dava a quella faccenda, quanto uno ci si voleva giocare. Altrimenti non valeva il nostro «pegno» né la fatica per riscattarlo, per riaverlo indietro a cose concluse. Non ogni anfratto delle nostre vite aveva bisogno di un pegno, ma solo i momenti più importanti. Come dire: la sua presenza o meno ne faceva la differenza.
Faceva… Perché al giorno d’oggi, invece, ad ascoltare i nostri discorsi, siamo tutti in realtà super impegnati. Tutta la nostra giornata è fatta, a volte persino invasa e stipata, di impegni: corriamo come tarantolati dalla mattina alla sera, e quando ci capita di avere un istante libero, annaspiamo a riempirlo subito di qualcosa da fare.
E tutto questo per noi è indubitabilmente «essere impegnati». In effetti, siamo persone molto impegnate. Ma se tutto è impegno, dall’andare a giocare a tennis allo stare con i figli, allora più niente è impegno. Perché ci può capitare di confondere con facilità le cose da fare, le faccende da sbrigare, che pure meritano la nostra attenzione e cura, con quegli spazi della nostra vita che reclamano invece tutto quello che noi siamo: il nostro cuore tanto quanto le nostre forze. Che diventano, queste sì, un impegno, in cui mettiamo il nostro pegno.
«Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore», vi dice niente (Mt 6,21)? Ricordate il miracolo di sant’Antonio e del cuore dell’avaro (che non era più al suo posto, nel cadavere dell’avaro, ma nel forziere, tra i denari)? Che è come dire che solo il nostro tesoro merita di per sé il nostro impegno. Supposto che abbiamo scoperto quale esso sia…
Sfrecciamo da un impegno all’altro, ma solo per rimanercene seduti sull’orlo delle cose. Ce ne stiamo alla larga da passioni e ci vacciniamo contro le responsabilità. Tanti scarabocchi solo per non impegnarci a dipingere la nostra vita. A buttare il nostro cuore lì dove c’è misericordia e perdono, lotta e passioni, ingiustizia e affetti. E se siamo troppo impegnati da non aver tempo per queste cose, vuol dire che non siamo davvero così impegnati.
Basta fatti, vogliamo promesse! Dei primi abbiamo intasato le nostre giornate, delle seconde ce ne siamo scordati. Ma ne abbiamo bisogno. «Dov’è il tuo tesoro? Qual è per te la realtà più importante, più preziosa, la realtà che attrae il mio cuore come una calamita? Cosa attrae il tuo cuore? Posso dire che è l’amore di Dio? C’è la voglia di fare il bene agli altri, di vivere per il Signore e per i nostri fratelli? Posso dire questo? Ognuno risponde nel suo cuore» (papa Francesco, Angelus, 11 agosto 2013).
Un 2017 colmo di bene per tutti!
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