Mindfulness
Ciclicamente siamo contagiati da mode filosofico-religiose che arrivano dall’Oriente e che, forse solo perché esotiche o «nuove», ci sembrano ogni volta più adatte a noi di quanto non lo siano le nostre. Se non altro, e questo è un punto a loro favore, sembrano tenere meglio assieme la dimensione spirituale e quella corporea. Così ci sarà già capitato di incappare nella mindfulness, anche nel nostro ambiente di lavoro. L’invenzione di questa pratica si deve come tale a Jon Kabat-Zinn, biologo americano, discepolo del monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh, che fondò, già nel 1979, il Center for Mindfulness in Medicine, Healt Care and Society: laicizzare la via buddhista alla consapevolezza di sé (sati) per renderla fruibile dalla maggior parte delle persone. In maniera tale che non dipenda dall’appartenenza a qualsivoglia fede religiosa o ambito culturale. Anche se, e di ciò è bene essere consapevoli, tale pratica è intrisa di buddhismo ovunque, e la si può considerare «laica» solo a patto di concordare con l’affermazione che neanche «Buddha è buddhista». Diventa un «modo d’essere» e di vivere il buddhismo (occidentalizzato, anche ciò è bene saperlo, a uso e consumo del nostro tempo secolarizzato e, accusano alcuni orientali, capitalistico).
Così preannunciata, la mindfulness si definisce come «uno stato mentale conseguito tramite la focalizzazione della propria attenzione sul momento presente, al contempo riconoscendo e accettando tranquillamente i propri sentimenti, pensieri e sensazioni corporee, impiegato come tecnica terapeutica (Oxford Dictionary). Di fatto, poco più che un protocollo medico che ambisce a diventare religione laica. Senza entrare nel merito del rapporto della fede cristiana con le altre religioni, e perciò della bellezza anche del buddhismo, e senza misconoscere i benefici fisici e psicologici di tale metodo, questo libretto, agile e comprensibile, può essere utile a chiarirsi le idee, senza pregiudizi ma neppure sconti in nome di un presunto «buonismo religioso».
La vera domanda della congruenza di questa tecnica con la preghiera cristiana, infatti, non riguarda tanto questi aspetti, ma le sue implicazioni teologiche e spirituali. L’autore, frate carmelitano scalzo, ne tratta partendo dalla propria spiritualità e carisma. E ha gioco facile, citando documenti ecclesiali e teologi, per sostenere che tutti i metodi che aiutano ben vengano, ma la preghiera autenticamente cristiana è tutt’altra cosa. È unicamente in vista della relazione con Dio e con i fratelli: «Un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati» (Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, citato in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2709). Non presenza a me stesso, ma presenza di Dio in me.