12 Agosto 2019

Nel corpo sbagliato

La transizione sessuale di un quindicenne che vive la propria mascolinità come una condanna è il filo conduttore di «Girl» (Belgio 2018, regia di Lukas Dhont), biografia di una liberazione che solleva molti interrogativi.
Victor Polster interpreta Victor/Lara, protagonista del film «Girl».
Victor Polster (a sinistra) interpreta Victor/Lara, protagonista del film «Girl».

Non chiamatelo Victor, questo splendido ragazzo quindicenne alto e biondo, dai capelli lunghi e dagli occhi azzurri, incastonati in un pallido viso ovale di madonna. Chiamatelo invece Lara, perché lui si sente Lara, sente cioè di essere una ragazza (girl in inglese) imprigionata in un corpo sbagliato, un corpo maschile. Come nei miti dell’anima esiliata, Lara prepara il suo riscatto. Chiama in aiuto il comprensivo padre (un taxista simpaticamente focoso), uno psicologo sincero, un’endocrinologa prudente la quale prescrive una cura ormonale, in attesa dell’intervento chirurgico di correzione del sesso. L’alleanza è allargata e coinvolge gli amici di famiglia e i compagni di scuola. Tutti sembrano conoscere e capire il desiderio della protagonista. Lara ha cambiato residenza e si è trasferita ad Anversa, in Belgio, con la famiglia francofona, per evitare pettegolezzi e derisioni. Ma tutto il mondo è paese: c’è chi comprende e condivide, chi si spaventa e la evita, chi la provoca e scruta come un guardone, chi l’aiuta e la sorregge, chi la relega nell’indifferenza come se si trattasse di un fenomeno bizzarro, che va tollerato in nome del «politicamente corretto». Lara si vergogna delle sue fattezze anatomiche di uomo, le copre con cerotti, veste abiti che simulano le curve femminili. Fa tutto questo sottoponendosi a rituali lunghi, faticosi, a volte torturanti. 

La transizione sessuale da Victor a Lara non è l’unica metamorfosi di questa tormentata biografia di liberazione. Lara si vive come una donna, ma l’orientamento sessuale non è ancora definito. Per chi prova realmente attrazione erotica? Lara non sa. Lara esplora, sperimenta, cammina dentro un nuovo mondo di scambi amorosi, impacciata e azzardata, eppure leale, coraggiosa, buona. Lara si sta facendo adulta. La cinepresa la inquadra ripetutamente allo specchio, che ogni giorno le rivela cambiamenti imprevisti e solo parzialmente controllabili. Lara aspetta che gli ormoni – iniziata la terapia – le ingrossino i seni; spera che la peluria si faccia femminile; si commuove quando i grandi la trattano da pari a pari, rispettando i suoi spazi intimi e giocosi. In terzo luogo, Lara vuole coronare un sogno: diventare ballerina. Le dita dei piedi sanguinano, quando le punte delle scarpine da ballo sostengono per ore un allenamento troppo intenso. Ma lei non molla, cerca la perfezione della leggerezza, la sinuosità dell’inchino, la fluidità del volteggio. Se cade si rialza. Ai rimproveri della simpatica maestra risponde con un sorriso. E ne ricambia l’abbraccio. Infine, Lara si pensa come madre. Nella prima sequenza è lei, insonnolita, a vestire il fratellino imbronciato. Ha delicati gesti di accudimento. Dialoga col padre come una donna matura. Di fatto, Lara riempie un vuoto, perché nel film la madre vera non c’è. Non se ne parla. Una separazione? Un lutto? Perché il tabù è così roccioso? Che cosa è accaduto?

La psichiatria cataloga questi disturbi come «disforia di genere», quando l’individuo desidera appartenere in modo duraturo a un genere alternativo rispetto a quello che lo qualifica biologicamente. Alcune associazioni transgender hanno però contestato questa medicalizzazione del disagio. Sarebbe piuttosto la tradizionale scansione dualistica (maschi da una parte, femmine dall’altra) a mostrarsi grossolana e semplicistica. La stessa teologia morale ha imparato a distinguere le erronee ideologie gender da nuove prospettive di genere, che hanno riscoperto l’importanza dei sentimenti, delle relazioni, della cultura, del linguaggio e persino della libertà personale nella costruzione dell’identità sessuale. Ciò che conta è chi siamo, non soltanto che cosa possediamo in termini di dotazioni genetiche o somatiche. L’arte salva Lara e nel contempo la espone a scelte rischiose. L’aspirazione alla danza le dà una motivazione morale decisiva e le offre una visione buona della vita: danzare l’esistenza, librarsi nell’aria, vincere la gravità del corpo, ricevere il plauso di chi la guarda con piacere. Il cinema raddoppia questa passione, consentendoci di sognare scene mai viste, sfidando le limitazioni oggettive, abitando una scenografia elegante. Noi spettatori sentiamo gli imbarazzi di Lara come i nostri e ci domandiamo chi ha plasmato i nostri corpi, chi altri potevamo essere, quale promessa abbiamo fatto – un giorno – alla vita che cresceva dentro di noi.

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Data di aggiornamento: 12 Agosto 2019
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