Oliver Stone: la libertà paga
Una vita contraddittoria, piena di fallimenti, di rabbia, di droga, di scelte azzardate quella narrata da Oliver Stone in Cercando la luce, la sua autobiografia edita da Nave di Teseo, una vita da montagne russe prima di arrivare alla luce, all’olimpo di Hollywood e alla storia del cinema mondiale. Il distillato è quel suo fare cinema ruvido e fuori dalle righe, a caccia della sua verità. Se serve, contro tutti.
«Poteva andare diversamente e invece sono qui», afferma dietro un largo sorriso, ricordando la scelta giovanile che gli ha cambiato la vita: partire per la guerra in Vietnam, per far decidere alla sorte se vivere o morire. Siamo ad Asolo, in occasione di un evento del Festival del Viaggiatore. Il leone dietro ai suoi occhi sembra a bada, in realtà è guardingo, memore delle altalene della vita. Mr. Stone mostra la foto che campeggia sulla copertina del suo libro: è lui a 20 anni, lo sguardo attonito, alle spalle un vago paesaggio di palme. Ora che di anni ne ha 74, è grato a quel ragazzo che, d’impeto, pulito e inconsapevole, si è buttato nella mischia della vita per renderlo l’uomo e il regista che oggi è. A lui deve i film che l’hanno consacrato e che gli sono valsi tre premi Oscar e cinque Golden Globe, tra i quali Fuga di Mezzanotte, Platoon, Salvador, Nato il quattro luglio, Wall Street. L’aspetto di Stone non tradisce alcun divismo. Unica concessione all’estro, un paio di calzini rosso fuoco che rubano la scena a una giacca classica in tweed.
Msa. Perché scrivere una biografia proprio ora, una biografia che, tra l’altro, si conclude a 40 anni, con il successo di Platoon?
Stone. In questo periodo della mia vita le memorie sono importanti. Per me è fondamentale il fermarsi e il riesaminare. Scrivere mi ha fatto fare un viaggio a ritroso nel tempo, mi ha permesso di rivivere gli anni più importanti della mia vita, quelli della mia formazione. Dopo una fanciullezza serena a New York, ho avuto un’adolescenza molto complicata, con tanti alti e bassi. Non accettavo il divorzio dei miei. La guerra in Vietnam è stata un’esperienza fondamentale, ha causato in me profonde crisi. Da lì in poi sono cresciuto in fretta, ma la piena maturità è arrivata con i 30 anni, ed è stato un momento di rottura: ho dovuto guardare in faccia i miei ideali e fare i conti con la realtà. Mi sentivo finito.
Quando c’è stato il punto di svolta?
A 40 anni, quando a Hollywood ho raggiunto il mio sogno di fare il regista. Non solo ci ero riuscito, ma avevo anche girato i film più importanti di quel periodo. Da quel momento tutto ha cominciato a girare per il verso giusto: soldi, viaggi, lavoro. Tuttavia la soddisfazione più grande è stata quella di raccontare la guerra del Vietnam come l’avevo vissuta io, secondo la mia verità. Non era semplice, la propaganda in quel momento raccontava tutta un’altra storia. C’era di mezzo l’orgoglio nazionale.
La sua gavetta è stata lunga e difficile, ha fatto molti mestieri, tra cui il tassista, pur di sbarcare il lunario e continuare a cercare fondi per i suoi film. Quanto importanti sono stati per lei i fallimenti?
Molto importanti. Prima del successo di Fuga di Mezzanotte (1978), avevo scritto una trentina di sceneggiature, tutte andate buche. Il rifiuto è parte del processo di fallimento, ma sta a te decidere se imparare o meno da questa esperienza. L’orgoglio potrebbe impedirti di ascoltare gli altri per trarre degli insegnamenti, nello stesso tempo, però, devi mantenere la tua integrità, devi essere consapevole che se anche ti dicono che non vali abbastanza, in cuor tuo sai che non è vero, che hai le carte giuste, ma non sei ancora arrivato al livello che puoi raggiungere. E quindi devi continuare a lottare. Mai fermarsi ai no.
Lei è conosciuto come il regista delle cause controverse. Mantiene la stessa passione di un tempo?
Non ho mai voluto essere controverso. Ho sempre espresso la mia verità. La gente ha spesso reagito in modo eccessivo alle mie idee, e non capisco il motivo di tanta veemenza. Io semplicemente penso con la mia testa, tutto qui. Per esempio sono arrivato alla conclusione che Kennedy sia stato ucciso da forze del governo, in tanti mi attaccano per questo, ma io ne resto convinto.
Alla luce delle sue memorie, qual è la cosa che reputa più importante nella vita?
Arrivare a un equilibrio, a quella che Socrate chiamava una vita buona. Ma anche mantenersi liberi e rendersi conto di quanto meraviglioso sia il mondo.
L’intervista completa a Oliver Stone è pubblicata sul numero di ottobre 2020 del «Messaggero di sant'Antonio», disponibile anche in versione on line. Provala subito!