Oriundi discriminati
L’approvazione in Parlamento del decreto Tajani che riforma il riconoscimento della cittadinanza italiana, ha scavato un solco difficilmente colmabile tra gli italodiscendenti e le istituzioni del nostro Paese.
Con la nuova normativa, la cittadinanza italiana non viene più trasmessa automaticamente ai nati all’estero in possesso di altra cittadinanza, anzi ne preclude il riconoscimento anche a chi è nato all'estero prima dell'entrata in vigore della legge.
Secondo il governo italiano, la riforma si sarebbe resa necessaria per restituire dignità e significato a un diritto che dovrebbe essere basato su un legame profondo e reale, civico, culturale e identitario con l’Italia, e non solo per via burocratica.
Tale considerazione non esclude però la sensazione che si tratti di una forma selettiva di riconoscimento della cittadinanza italiana, volta a limitare le pur crescenti richieste che giungono soprattutto dal Brasile.
Se da una parte Roma è convinta di aver sanato in questo modo gli insidiosi automatismi precedenti, dall’altra gli italodiscendenti stanno vivendo questa riforma come una pugnalata alla schiena in un momento storico in cui è crescente la domanda di italianità dall’estero, e quando si fa appello a lavoratori e professionisti non nati in Italia a venire a lavorare nel Bel Paese per occupare ruoli e posizioni vacanti a causa dell’inverno demografico che affligge l’Italia.
Ne parliamo con Daniel Taddone, presidente dell’Associazione Natitaliani che ha l’obiettivo di unire e sostenere gli italodiscendenti di tutto il mondo nella tutela dei loro diritti.
Taddone è imprenditore, sociologo e genealogista. Ed è uno dei quattro consiglieri italobrasiliani del Cgie, il Consiglio generale degli italiani all'estero.