24 Giugno 2025

Un console contro i dittatori

Compie 80 anni Enrico Calamai, il diplomatico che salvò dalla morte centinaia di dissidenti italiani in Cile e in Argentina.
Manifestazione a Buenos Aires in ricordo delle vittime della dittatura di Videla in Argentina.
Manifestazione a Buenos Aires in ricordo delle vittime della dittatura di Videla in Argentina.
© Archivio Wikimedia Commons

In alcune delle notti sudamericane più buie, un uomo sfidò le istituzioni in nome della libertà ergendosi come voce di speranza. Infatti, tra le pagine più tragiche della storia del secondo Novecento, fu l’italiano Enrico Calamai a scrivere uno dei suoi capitoli più nobili. Allora giovane console, egli arrivò in Cile un anno dopo il golpe del 1973 del generale Augusto Pinochet. Come tutte le ambasciate di Santiago, anche quella italiana venne invasa da perseguitati politici. Calamai, per garantire l’inviolabilità di uno spazio precluso alla giurisdizione dell’esercito cileno, decise di stabilirvisi e convivere con 250 rifugiati, assicurandone così l’incolumità. Pochi giorni prima della partenza di Calamai dal Paese, la giunta militare concesse il lasciapassare a tutti i perseguitati all’interno dell’ambasciata italiana, prima di innalzare il muro che avrebbe impedito, da quel momento, l’accesso al consolato. La perseveranza del console condusse alla salvezza quelle 250 persone, molte di loro di origine italiana. Ma quello era solo l’inizio.

Calamai si recò a Buenos Aires, in Argentina, al tramonto del 1974, poco prima della morte di Juan Domingo Perón, storico leader del Paese, e dei conseguenti terremoti politici che lacerarono la nazione. Il golpe attuato nel 1976 per mano del generale Jorge Rafael Videla fu l’opera subdola di un autentico genio del male. A differenza della sua compagine cilena, la giunta militare argentina esulò dalle manifestazioni di violenza, tanto che nelle grandi città non si assisteva a repressioni, a fucilazioni, a un uso sistematico della forza, dando al mondo la parvenza di un regime lungi dall’essere autoritario. Nella realtà si celava tutt’altro. Durante la notte la polizia militare in borghese faceva irruzione nelle dimore dei presunti dissidenti che, designati dal governo, venivano catturati, bendati e prelevati, mentre i loro familiari venivano perquisiti, picchiati e privati di ogni bene. Gli oppositori politici venivano in seguito segregati in centri di detenzione clandestini – come il famigerato Garage Olimpo e la Escuela de Mecánica de la Armada – dove subivano abusi e torture per lunghe settimane, prima di essere eliminati e fatti sparire in fosse comuni o gettati in pieno oceano dagli aerei dei «voli della morte».

Calamai sfidò il mostro silente del regime militare firmando i passaporti di più di 300 argentini di discendenza italiana. Il console, rischiando l’arresto, accompagnava da solo, in auto, verso l’aeroporto della capitale le persone ricercate dalla giunta di Videla. Per questo, Enrico Calamai venne definito lo «Schindler di Buenos Aires», consacrandosi come eroe di due popoli separati da un oceano, ma accomunati dal medesimo spirito e dalle stesse origini. Nel 2010 gli sono stati dedicati un albero e un cippo nel Giardino dei Giusti di Milano, e nel 2014 è stato insignito del titolo di Commendatore dell’Ordine del Liberatore San Martín, massima onorificenza dell’Argentina.

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Data di aggiornamento: 24 Giugno 2025
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