10 Giugno 2025

Vastogirardi, sant’Antonio delle piccole cose

Questa è una piccola storia di devozione a sant’Antonio. Accade in un paese dell’Alto Molise, terra lontana che, dicono, «non esiste». Una storia semplice: racconta di una comunità che da quasi novanta anni festeggia il giorno del Santo.

Vastogirardi, sant’Antonio delle piccole cose

Questa è una piccola storia di devozione a sant’Antonio. Accade in un paese dell’Alto Molise, terra lontana che, dicono, «non esiste». Un’Italia «interna», solitaria, da dove «si va via». Ma vi è chi rimane, chi torna, chi ricorda. Una storia semplice: racconta di una famiglia e di una comunità che da quasi novanta anni festeggia il giorno del Santo. Un omaggio ad Antonio e al lavoro agricolo. 

In questi giorni vi è un fervore diverso a Padova e a Lisbona. Le due città di Antonio. Emozioni differenti. A Lisbona, il Santo è nato. A Padova è morto. Il 13 giugno è il suo giorno. Ed entrambe le città, a modo loro, lo festeggiano, oltre il momento della memoria e della preghiera. Grande processione e giostre in Prato della Valle a Padova. Matrimoni, una processione popolare per il quartiere di Alfama a Lisbona, e, soprattutto, sardine arrosto per ogni strada della città. Sono certo che Antonio abbia il suo sorriso mentre indica al Bambino i mille e mille luoghi diversi nel mondo in cui viene ricordato. Da Manhattan, cuore di New York, al quartiere di Ryde a Sidney, dalla grande basilica di Kaloor in Kerala alle cinquantadue chiese libanesi dedicate a mar Mtannous Badawi, a sant’Antonio di Padova. 

Mentre sorvola l’Italia e i suoi Appennini, l’attenzione del Santo viene attirata da un piccolo punto sulla carta geografica. Si accorge di un paese quasi invisibile sulla mappa. Ha un nome strano. Si manda a memoria con qualche difficoltà: Vastogirardi. C’è un foglietto lasciato sul tavolino di una ancora più strana pasticceria «rurale», solitaria in contrada Civitella, in mezzo alle campagne di montagna dell’Alto Molise. È un volantino che ricorda che questo 15 giugno, la prima domenica dopo il giorno del Santo, a Vastogirardi si benediranno in suo nome i «mezzi agricoli». Questa è una terra dove il lavoro dei campi ha ancora la sua importanza, la sua vitalità, le sue baruffe, la sua ricchezza. Qui tutti sono stati allevatori e pastori, molti lo sono ancora. La sua geografia è percorsa da una ragnatela di antichi tratturi di transumanza. Vastogirardi è a mille e duecento metri di quota. Qui, quando non si è al pascolo o nelle stalle, si passa il tempo dei pranzi e delle cene, come le ore del bar, a parlare di capre, di vacche, di pecore, di fieno da tagliare, di legna da accatastare già al principio dell’estate, dei raccolti da fare. Questa è montagna vera. Bellissima e infreddolita dai venti provenienti dai Balcani. 

Giorgia non è solo una pasticciera che ha aperto il suo laboratorio in una contrada isolata. È un’erede. Credo che lo sappia, anche se non me lo dice. Mi spiega che quel volantino, lasciato accanto ai biscotti che prepara, è la storia della devozione di una famiglia, la sua famiglia; è un invito a una festa di paese, un ritrovarsi di una comunità di agricoltori devota a sant’Antonio. È un sacro rurale, semplice, di montagna. Antonio è il patrono di Vastogirardi? No, è san Nicola di Bari, il santo venerato da cattolici e ortodossi. E allora? Giorgia mi dice: «Il nonno». E poi racconta: Nunzio Amicone aveva 24 anni, era un allevatore di mucche e un muratore, e faceva parte di una confraternita paesana che si prendeva cura dalla chiesa della Santissima Maria delle Grazie. Era il 1938 e l’arciprete, Giovanni Scarpitti, parroco del paese affidò a quel giovane il compito di organizzare i festeggiamenti per il giorno di sant’Antonio. 

Leggo le memorie di uno dei figli di Nunzio. È un allegro elenco delle offerte che i paesani donavano al Santo: qualche capretto, caciocavalli, latte da consegnare al casaro perché venga trasformato in formaggio. Chi faceva l’offerta più generosa poteva far parte più a lungo della piccola squadra che portava in spalla per le strade del paese la statua di Antonio. Tutto veniva venduto e con il denaro ricavato si compensavano l’arciprete, i chierichetti e il sacrestano. Gente di montagna, davvero. Entra in gioco la nonna, Assunta: lei ebbe l’idea di aprire un libretto di risparmio dove raccogliere le offerte della gente. Mi viene in mente: Antonio delle piccole cose. In quegli anni già alcune centinaia di abitanti avevano lasciato il paese per il Nord America: qui nel 1911 vivevano 2700 persone, alla vigilia della guerra erano già ridotti a poco più di duemila e duecento. Spopolamento dell’Italia interna.

In vent’anni, tra il 1951 e il 1971, Vastogirardi perde altri mille abitanti. Oggi, a dar retta a Wikipedia, sono 588. Ci sono tre bar, un ristorante, una casa di accoglienza, qualche agriturismo, una piazzetta dedicata a Gino Strada, un bel campo di calcio, la squadra locale è stata in serie D, oggi è in Eccellenza. Il giorno di San Nicola, a luglio, viene celebrato con «il volo dell’angelo», il balzo di una bambina con le ali da un terrazzino per raggiungere le braccia della Madonna. Le due chiese del paese sono popolate di santi: sant’Anna, san Francesco, santa Maria Assunta, la madonna del Carmine, la madonna addolorata, sant’Amico, san Camillo de Lellis. E ancora: san Vincenzo Ferreri, san Giuseppe, santa Filomena (dovremmo raccontarne la storia), san Liborio, san Michele, san Domenico dei serpari, oltre alla madonna con il Rosario e la madonna delle Grazie. Un pantheon contadino affollato e sacro. Cartoncini scritti a mano indicano i nomi dei santi. Finalmente, in una cappella, c’è anche sant’Antonio. 

Nunzio conservava a casa la stola che adornava la statua del Santo. Si moltiplicavano anche gli ex-voto. Come le offerte in latte e denaro. E così era possibile anche un compenso per il campanaro e si potevano pagare i fiori attorno all’altare. Arrivava anche un frate francescano a raccontare di Antonio. Nunzio muore agli inizi degli anni ’80. I suoi quattro figli continuano questa storia di devozione. Non costudiscono più la stola del Santo. «È in un luogo sicuro» mi dicono. Alla fine della processione, si distribuisce il pane benedetto. Elenco sempre meticoloso: il parroco e il frate vengono invitati a pranzo, le spese sono sostenute da un piccolo gruppo di persone. Leggo: «Non si usa più il compenso per campanaro e chierichetto». 

Nel 2018, i quattro figli propongono una novità, un omaggio ai paesani che non abbandonano la terra. La processione diventa un corteo dei «mezzi agricoli» guidato da Antonio: trattori, carretti, furgoncini, tagliaerbe… Attilio, figlio di Nunzio, costruì un carrello per portare la statua. Il Santo si muoverà a spalla tra le scalinate del paese, al ritorno verso la chiesa salirà su un carrello trasportato da un piccolo trattore. Oggi chi porterà Antonio in processione viene scelto da un sorteggio. I mezzi sono decorati a festa con fiori, ghirlande, nastri, gagliardetti con l’immagine del Santo. Vengono benedetti dal parroco e, al momento del rientro in chiesa, si dispongono a semicerchio davanti al sagrato: un inchino ad Antonio. L’ultimo atto è la distribuzione del pane benedetto. Gran tavolata finale, il menù è discusso a lungo. So tutto questo perché nella serata della prima domenica di giugno, mi sono trovato al bar «Il Ritorno» e ho visto una piccola folla riunita attorno a un tavolino. Allevatori, mani in tasca, volti arrossati dal sole. Giorgia si siede tira fuori dei bigliettini su cui sono annotati dei nomi e invita una ragazzina a sorteggiare…

(Foto di Nunzio Amicone)

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Data di aggiornamento: 12 Giugno 2025
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