Presenti, qui e ora
Il filosofo Schopenhauer scrisse nel suo trattato più importante, Il mondo come volontà e rappresentazione, che la vita è un pendolo che oscilla tra la noia e il dolore. Per molti nostri contemporanei questa oscura predizione pare molto attuale. Oggi mi sembra, però, ancora più invadente e minaccioso un altro pendolo, quello che oscilla tra i rimpianti del passato e l’ansia per il futuro, un futuro vissuto, specialmente dalle giovani generazioni, più come una minaccia che come una promessa. Quando ho ritrovato nel mio taccuino la scritta in evidenza nel box («i rimpianti del passato e i timori del futuro sono i parassiti che divorano il presente»), vista su un muro di Roma qualche anno fa, mi è sovvenuta alla mente una citazione del profeta Isaia che mi accompagna da anni: «“Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”». (Isaia 43,18-19). Si tratta di una citazione del cosiddetto «Deutero-Isaia» (capp. 40-55), nel quale si possono leggere alcune profezie scritte in un tempo di grande incertezza e sofferenza degli israeliti esiliati a Babilonia, anch’essi tra l’incudine di un passato, in cui avevano sperimentato il braccio potente di Dio che li aveva liberati dalla lunga e tremenda schiavitù egiziana, e il martello di un futuro incerto, ancora in preda al dominio di Babilonia. Eppure c’è una promessa nelle parole del profeta: i prodigi del passato saranno eclissati dalle meraviglie ancora più grandi che Dio compirà al momento del nuovo esodo, col rientro nella terra amata e promessa. «Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is, 43,19b).
Tutti noi abbiamo sperimentato, prima o poi, che i rimpianti di un passato che non c’è più, e che non tornerà più, e le ansie per il futuro, sono parassiti che divorano il presente e la gioia di vivere. Capita frequentemente che le persone che partecipano alle mie conferenze o ai corsi di meditazione mi chiedano quale sia la cosa più difficile da imparare nel cammino di ricerca spirituale. Ce ne sono tante di difficoltà; se dovessi sceglierne una sola, però, direi: vivere consapevolmente ogni istante donato, qui e ora, senza voler essere altrove, senza scappare. Lasciar andare la presa sul passato e sul futuro è la cosa più difficile e richiede la coltivazione costante e instancabile dell’attenzione. La nostra mente ci proietta sempre altrove, mai nell’unica cosa che conta davvero: essere presenti qui e ora. Sviluppare l’attenzione per sentire e percepire la bellezza incomparabile di essere vivi. C’è una strofa molto suggestiva nel Dhammapada, forse l’opera più amata e conosciuta della letteratura buddhista: «L’attenzione è il sentiero verso il non morire, / la disattenzione è il sentiero della morte. / Gli attenti non muoiono ma coloro che sono disattenti sono come già morti» (Dhammapada. La via del Buddha, a cura di G. Pecunia, Feltrinelli 2023). La disattenzione costringe a subire il vagare inquieto e indisciplinato della mente, mentre l’attenzione sollecita è una forma costante di consapevolezza che sta alla base di ogni forma di meditazione e di pratica contemplativa.
Nella tradizione cristiana, gli antichi Padri e monaci parlavano di prosoché e népsis, vigilanza e sobrietà, per rimanere alla presenza costante dell’azione di Dio e risvegliarsi pienamente alla realtà. La mistica cristiana, infatti, altro non è che uno sguardo contemplativo sulla realtà, che permette di cogliere i segni della presenza dello Spirito di Dio in ogni persona, in ogni evento, e di vedere le cose come sono davvero; vedendole con lo sguardo di Dio, troviamo il coraggio di guardare anche le cose che non ci piacciono trasfigurate dalla sua grazia (Cfr. S. Olianti, La saggezza del cuore. Sentieri verso la serenità, EMP 2025). Vivere consapevolmente e con presenza mentale, nel qui e ora, permette di gustare appieno il presente, senza lasciarsi avvelenare dal rimuginìo sul passato né dall’ansia del futuro. Quanta vita ci perdiamo immersi nelle preoccupazioni, nei pensieri circolari e con la mente sempre altrove? C’è forse qualcosa di più importante da imparare, per vivere pienamente, dell’attenzione? L’attenzione ai pensieri, alle emozioni, ai moti del cuore, disciplinando le passioni incostanti e mutevoli, ci apre alla dimensione esistenziale più importante di tutte: imparare ad amare e fare della nostra vita un’opera d’arte. Coltivare la consapevolezza accresce la flessibilità mentale, tanto che si aprono nuove opzioni, scelte più sagge, più giuste e soddisfacenti.
Accompagnare le persone a morire mi ha insegnato le cose più preziose e più importanti: il tempo che ci è dato di abitare nel nostro meraviglioso pianeta è breve e dobbiamo viverlo in pienezza. Arrivare alla fine del proprio tragitto colmi di rimpianti è dura: molti non accettano la morte proprio per la sensazione angosciante di non aver ancora cominciato a vivere. Quindi, dovunque tu sia, qualunque cosa tu stia facendo, fermati. Respira. Ascolta la musica della vita. Ogni spiritualità autentica genera bellezza e rende liberi, presenti, attenti a ogni soffio dello spirito che, come il vento, spira dove vuole e non lascia dormire la polvere. Siamo realmente vivi quando ci siamo. Se mi chiedeste qual è per me la cosa più importante per vivere una relazione d’amore o di amicizia che nutre la vita, vi direi senza indugio: esserci! Quando «ci siamo» vediamo le cose con maggior chiarezza e rispondiamo con amore autentico. Esserci totalmente in famiglia, mentre cuciniamo o annaffiamo le rose in giardino, esserci al lavoro e quando un amico ci racconta i suoi guai, esserci mentre camminiamo e ci prendiamo cura del nostro corpo. Esserci quando preghiamo e meditiamo, quando partecipiamo a un rito o a una liturgia. Esserci quando Dio ci parla attraverso le persone e gli eventi che ci parlano. Esserci è fermarci e respirare. Per celebrare la vita. In fondo, la gioia di vivere altro non è che una contentezza di esserci che basta a se stessa.
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