Pagani e le vite da salvare
Entro il 2040 saranno più di 3 milioni le persone affette in tutto il mondo da leucemia mieloide cronica, una malattia oggi rara ma che diventerà, tra qualche decennio, la tipologia più comune di leucemia. Questo tumore del sangue, che parte dal midollo osseo, ha un decorso molto lento e viene diagnosticato spesso in tarda età richiedendo, nella maggior parte dei casi, cure farmacologiche che durano per tutta la vita del paziente. Grazie alle ricerche di Ilaria Pagani (nella foto, seconda da sinistra seduta), biologa molecolare nata a Corgeno (Varese) e ora residente ad Adelaide, si sono fatti passi avanti per facilitare l’interruzione di cure in certi pazienti senza rischi di ricadute, con un netto miglioramento della qualità della vita. I risultati degli studi di Pagani sono stati premiati a livello internazionale, con l’assegnazione, nel 2019, di un prestigioso riconoscimento: il John Goldman Research Award della Scuola europea di ematologia, e i suoi studi continuano oggi a ricevere finanziamenti, tra gli ultimi quello della Leukaemia Foundation australiana. Pagani è oggi fellow del Beat Project Cancer, una posizione importante conferita dall’Ente tumori del South Australia a soli due ricercatori dello Stato.
Formatasi all’Università dell’Insubria e poi all’Università di Milano in genetica medica, Pagani ha lavorato a Varese, Roma e in Inghilterra prima di trasferirsi, nel 2014, in Australia, un Paese che ha fatto decollare la sua carriera e che le sta permettendo di svolgere un lavoro importante, dentro e fuori il laboratorio dell’ente di ricerca South Australian Health and Medical Research Institute (Sahmri). L’interesse di Pagani per lo studio della leucemia mieloide cronica è iniziato a Varese dove si trova uno degli unici due laboratori al mondo che stavano sviluppando una tecnica per monitorare la malattia residua.
L’altro era appunto il Sahmri che ha notato il lavoro della giovane ricercatrice durante una conferenza negli Stati Uniti, e l’ha invitata per sei mesi ad Adelaide, come assegnista di ricerca. «Il laboratorio era aperto da poco, era bello, eravamo tutti ricercatori internazionali». Per la biologa è stato fondamentale essere affiancata da un mentore che continua a guidarla nel raggiungimento dei propri obiettivi. Pagani si sta impegnando molto anche per rilanciare Aria, l’Associazione dei ricercatori italiani in Australasia. Un network nato nei primi anni Duemila, e che al momento ha un centinaio di soci tra Adelaide, Melbourne, Sydney e le Fiji. Tra gli obiettivi di Aria, ci sono il rafforzamento di scambi e collaborazioni tra istituti di ricerca ed enti pubblici italiani e australiani, ma anche il sostegno ai ricercatori arrivati da poco in Australia. Attraverso l’organizzazione di eventi, si vogliono creare opportunità di networking e confronto.
Eletta presidente di Aria nel dicembre 2019, Pagani con il Comitato, quasi esclusivamente al femminile, ha già presentato alcune iniziative che hanno raccolto un ottimo seguito, e molti altri programmi sono attualmente in cantiere. Pagani è molto attiva su un altro fronte: quello delle pari opportunità in ambito scientifico. Il Sahmri, per esempio, ha ottenuto una certificazione internazionale che attesta le buone pratiche riguardanti inclusività e parità di genere, e la biologa vorrebbe vederle replicate anche in Italia. Quando non è in laboratorio o non sta sviluppando nuovi progetti con Aria, Pagani si dedica ad altre due passioni: il canottaggio, uno sport praticato anche dal padre sul lago di Corgeno, e il volontariato con Surf Life Saving Australia. Da qualche anno ha infatti il brevetto di bagnina e, in estate, si alterna con altri volontari per monitorare la spiaggia di Brighton, sul litorale di Adelaide.
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