Papa Francesco, un uomo di parola
Cento minuti faccia a faccia con papa Francesco che parla di giustizia sociale, lavoro, ambiente, famiglia, parità di genere, abusi sui minori, migranti, materialismo e rapporti con i leader politici. Lo fa guardando il pubblico negli occhi, da oratore consapevole che su alcuni temi non è possibile avere un punto di vista diverso se si hanno a cuore la dignità umana e un futuro pacifico per i popoli e le nazioni. Si intitola Papa Francesco − Un uomo di parola ed è lo splendido film che il regista Wim Wenders ha presentato all’ultimo Festival del cinema di Cannes e che è in uscita il 4 ottobre nelle sale italiane.
Spiega il regista: «Quando ricevetti la lettera per venire in Vaticano e discutere della possibilità di girare un film sul Papa, tirai prima un respiro profondo, poi andai a fare il giro del palazzo. Un progetto di questo genere comportava una grandissima responsabilità. Decisi di andare. Volevo capire che cosa avessero in mente. Mi spiegarono che avrei avuto carta bianca, che il Vaticano non avrebbe interferito e avrebbe aperto gli archivi. Accettai».
È iniziato così un progetto durato due anni di lavoro. «Quando lo incontrai per la prima volta – racconta Wenders –, il Papa mi disse che aveva sentito parlare di me, ma di non avere visto nessuno dei miei film. “Non me ne intendo, mi piace guardare e ascoltare le persone dal vivo”». Quella prima, informale chiacchierata è stato l’inizio del lungo progetto, nel quale quattro lunghe interviste – montate come se fossero una sola – si alternano con eccezionale materiale d’archivio. Nessuna voce fuori campo, se non all’inizio, quando Wenders racconta la storia di san Francesco partendo proprio da una suggestiva inquadratura di Assisi dall’alto. La stessa scelta di povertà compiuta dal santo permea, come si evince dal film, le parole e le azioni del Papa suo omonimo, il primo nella storia della Chiesa ad aver scelto di farsi chiamare come lui.
Wenders ci mostra la prima storica uscita ufficiale di papa Bergoglio, la sera del 13 marzo 2013, quando, appena eletto, si affacciò alla Loggia centrale della basilica vaticana, con un’eccezionale e inedita ripresa di spalle realizzata nell’occasione dal personale vaticano. L’inizio del suo discorso, quel «Fratelli e sorelle, buonasera» ormai entrato nella memoria di tutti noi, non è però la prima occasione che Wenders offre allo spettatore per ascoltare la voce del Pontefice. Nei pochi attimi precedenti, infatti, scorrono immagini del 1999, quando un Bergoglio ancora cardinale di Buenos Aires invita con calore i suoi concittadini ad appianare qualsiasi divergenza sociale e politica, ad abbracciarsi e a guardare con ottimismo a un futuro insieme. Sono passati solo tre minuti dall’inizio del film, eppure siamo già letteralmente catturati, ci sentiamo come se fossimo seduti accanto al regista de Il cielo sopra Berlino, in attesa che inizi l’intervista vera e propria e Jorge Bergoglio possa parlare direttamente a noi.
E così eccoci giunti nei giardini vaticani. Papa Francesco si sistema la sedia, guarda dritto in camera e inizia il suo monologo. «La miseria? Abbiamo le risorse per dare da mangiare a tutti. La povertà è un grido e noi dobbiamo pensarci se possiamo diventare un po’ più poveri». La disoccupazione? «Che cosa fa un giovane senza lavoro, che futuro ha? Quando non si guadagna il pane si perde la dignità. La sua assenza è uno dei drammi del nostro tempo, non dobbiamo stare zitti». E, ancora, l’invito a ripensare ai veri valori della vita che il Pontefice rivolge agli stessi credenti: «Una Chiesa che pone speranze nella ricchezza non ha Gesù. La povertà è al centro di tutto». Il rispetto dell’ambiente, già al centro dell’enciclica Laudato si’ del maggio 2015, è il punto di partenza per condannare sprechi e inquinamento («Una vergogna di cui tutti siamo responsabili, nessuno può dire di non averci niente a che fare») e richiamare il concetto di «madre terra» così caro al Pontefice latinoamericano: «L’abbiamo maltrattata. Abbiamo acque contaminate e governi che permettono, invece di combattere, disastri a scapito della salute delle persone».
Nel film non manca nemmeno la piena condanna della pedofilia nella Chiesa: «Zero tolleranza – afferma Bergoglio con tono fermo –. La Chiesa non deve rimanere indifferente, ma punire chi ha questo problema e prendersi cura di chi ne è stato vittima».
Quando parla in camera, papa Francesco alterna l’italiano allo spagnolo. Solo in qualche circostanza, come nel caso dello storico discorso al Congresso degli Stati Uniti del settembre 2015, quando condannò sia la pena di morte che il commercio delle armi, si esprime anche in inglese. Il discorso di Washington serve anche per introdurre il tema migranti nel film. Papa Francesco si rivolge sia a chi dovrebbe essere pronto ad accogliere («Dio non guarda con gli occhi, ma con il cuore e il suo amore è uguale per tutti, non possiamo rimanere indifferenti, non ne abbiamo il diritto») che a quanti si trovano costretti a partire: «Avete fatto grandi sacrifici, conoscete il dolore di aver lasciato indietro le vostre famiglie e ciò che vi era caro. L’avete fatto per i vostri figli senza peraltro sapere cosa il futuro vi avrebbe riservato. Dio ha creato il genere umano come una sola famiglia. Quando un nostro fratello o una sorella soffre, tutti noi ne siamo toccati. Fare muri non è una soluzione, bisogna fare ponti. I ponti però si fanno intelligentemente, con il dialogo, con l’integrazione. Nessuno di noi è un’isola. Per il resto siamo liberi, addirittura liberi di non amare Dio». Parole che sanno andare oltre il credo religioso, per toccare il cuore di chiunque sia seduto in sala.
Durante la proiezione ufficiale a cui abbiamo assistito nel corso del Festival di Cannes, accanto a noi sedevano giornalisti di ogni parte del mondo. Molti sospiravano o si asciugavano qualche lacrima di commozione. Con il suo lento, ma sempre più intenso, modo di parlare, il Papa riesce infatti a toccare il cuore degli spettatori, portati a chiedersi onestamente se nella vita quotidiana il proprio agire è coerente con ciò in cui credono e con i propri ideali e pensieri.
I dubbi che il Papa esprime («Perché i bambini devono soffrire e morire? Non lo so») o il peso della sofferenza, così evidente, per esempio, nelle silenziose riprese effettuate mentre prega in una cella di Auschwitz, rendono la sua figura più vicina, più accessibile. Soprattutto in queste sequenze, il film pone l’accento sull’aspetto umano del Pontefice, più che sul suo ruolo: qui egli è soprattutto un uomo che vive le stesse emozioni o lo stesso sgomento di ciascuno di noi.
Questo modo di porsi così «prossimo», trova il suo apice nel finale, quando papa Francesco si concentra sull’importanza dell’ironia e del sorriso, rivelando che ogni mattino recita la celebre preghiera del buonumore di Tommaso Moro: «Dammi, o Signore, una buona digestione e anche qualcosa da digerire».
Nel corso di varie interviste, Wenders ha raccontato di avere posto, in totale, ben cinquantacinque domande al Pontefice. «Non c’è stato nessun argomento tabù. Avevo timore a chiedere di pedofilia o di coppie gay, ma lui ha sempre risposto in maniera diretta e spontanea. Ho avuto modo di esporre i miei punti di vista, scoprendo che papa Francesco non è solo un grande oratore, ma anche un ottimo ascoltatore. Il film risponde pienamente alle alte attese che vi avevo riposto: consentire a papa Bergoglio di parlare direttamente a ogni spettatore di tutti quei temi e quelle preoccupazioni che sono importanti per lui. Questo uomo ci restituisce speranza. La sua positività, il suo ottimismo ci liberano dai veleni del nostro tempo».
Ma, al di là delle sue parole, che cos’è che del Pontefice ha colpito il cineasta tedesco? «Alla fine di ognuna delle quattro sessioni di interviste eravamo tutti esausti − confida −. Ogni volta, dopo aver detto “è ok per oggi” e dopo che la macchina da presa veniva spenta, papa Francesco andava a salutare uno per uno i componenti della troupe, a volte anche venti persone, con un’energia e un entusiasmo che sembravano non avere fine. Parlava a ciascuno guardandolo negli occhi, chiedeva se tutto andasse bene, aveva un regalino per ognuno di loro, non faceva nessuna differenza tra le cosiddette persone importanti, ovvero i produttori, e quelle apparentemente meno, come gli elettricisti. Di lui avevo già un’alta considerazione prima di conoscerlo, solo per averlo visto in televisione. Avevo letto i suoi discorsi e le sue encicliche, ma incontrarlo a tu per tu, e poi riascoltare ogni giorno in sala montaggio non solo il risultato dei nostri colloqui, ma anche i suoi discorsi in tutto il mondo, ai rifugiati, ai prigionieri, ai politici, agli scienziati, ai bambini, ai ricchi, ai poveri, alla gente normale, mi ha fatto comprendere quanto sia intrepido. Il mio augurio per lui è questo: che mai perda il suo incrollabile coraggio».