Parola di Dio, parola nostra
«Egregio direttore, domenica scorsa (8 ottobre) mi è casualmente capitato di ascoltare l’Angelus di papa Francesco, il quale ha detto tra l’altro: “Dio, pur deluso dai nostri peccati, non si vendica”. E ha ribadito il concetto ripetendo: “Dio non si vendica, non si vendica”. Tuttavia nel libro del Siracide leggo: “Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati” (28,1). Quindi secondo il testo biblico Dio si vendica. Il brano è stato inserito come prima lettura nella liturgia domenicale del 17 settembre scorso, con la consueta postilla finale: Parola di Dio. A questo punto le domando: ma il fedele deve credere alla parola del Papa o alla parola di Dio? Grazie». Giuseppe Federico – Milano
Nessun dubbio! La Parola di Dio merita il nostro ascolto incondizionato e fedele. Ma poi, e del resto in modo del tutto coerente con l’agire di Dio, anche la sua Parola diventa «debole»: ha bisogno di noi, delle nostre lingue e delle nostre povere e inadeguate parole umane. Insomma, la traduciamo, e per giunta ben due volte: dal linguaggio divino a quello umano, e dalla lingua originale, tra l’altro persino antica, a quella corrente che parliamo. Non possiamo perciò sottrarci all’impegno e alla fatica di leggerla, certo con la semplicità e l’immediatezza che ci ha insegnato san Francesco, ma anche con gli strumenti utili per gustarne il significato bello e profondo (che se ne sia capaci noi stessi, anche minimamente, o che ci si possa affidare per questo ad altri che riteniamo più competenti di noi): «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole» (costituzione dogmatica Dei verbum del concilio Vaticano II, n. 12). Senza scadere nell’idea che per leggere la Bibbia bisogna aver fatto chissà che studi, che è motivata solo dalla nostra pigrizia non certo da Dio stesso. Perché ognuno di noi possiede costitutivamente per battesimo lo «strumento» più importante, lo Spirito Santo, che è lo stesso con cui la sacra Scrittura è stata ispirata: «la sacra Scrittura (deve) esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (Dei verbum 12).
Torniamo, allora, alla nostra «vendetta». L’Antico, o come forse sarebbe meglio definirlo, il Primo testamento già aveva posto un significativo argine al diritto di vendetta, contenendolo nella sua proporzionalità. Il tanto ripetuto «occhio per occhio, dente per dente» (Dt 19,21) voleva proprio evitare le stragi insensate e fuori misura. Il versetto biblico citato dal nostro amico lettore, invece, è probabilmente la versione in negativo dell’evangelico «e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore» (Lc 11,4). Versetti che non intendono tanto rivelare qualcosa di Dio, quanto piuttosto di noi e delle esigenze della nostra vita di fede. Perciò ha ragione anche il Papa: dopo il perdono di Gesù dalla croce ai suoi aguzzini, direi che la vendetta è smascherata proprio nella sua pretesa di essere esigenza di giustizia anche solo umana, bensì causa di altro male.